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creepy cute commie pack

  • what the pack?!?

le regole non sono mai neutre

Posted on 2021/05/07 by queerwolf

buongiorno dal pack <3

in queste giornate incasainate è difficile anche ricordarci come ci chiamiamo, e abbiamo un po’ trascurato il blog. ma una personcina di fiducia ha avviato un canale youtube molto interessante, e abbiamo sentito il bisogno di condividere con voi questo video.

si parla di regole e giochi di ruolo, e lo troviamo importante (e legato alle tematiche di CCCP) perché mette in evidenza quali siano le differenze tra il fare tokenism e il fare vera rappresentazione. quando si parla di narrazioni, problemi e soluzioni si rincorrono a prescindere dal medium. un gioco di ruolo indubbiamente ha peculiarità specifiche, diverse dalla letteratura, ma alla fin fine si tratta sempre di costruire storie. e se cambia la natura di chi è protagonista, è giusto che le regole possano rappresentarlә al meglio.

e per questo, vi facciamo una domanda: ci sono cose che mancano nella letteratura “impegnata” che non permettono la rappresentazione dei gruppi marginalizzati? (specifico impegnata, perché fantasy e fantascienza in alcuni ambiti stanno giocando molto con le regole per includerci al meglio).

un abbracciotto, a presto.

Posted in procionә

perché narriamo l’altrә?

Posted on 2021/04/23 by queerwolf

perché decidiamo di inserire nelle nostre storie personaggi di gruppi marginalizzati?

 

qualche settimana fa, durante un corso, ho avuto la fortuna di ascoltare Djarah Kan parlare di rappresentazione delle persone nere nelle narrazioni, e a un certo punto ci ha chiesto: “ma perché voi volete parlare di persone nere? qual è il vostro obiettivo? cosa volete raccontare?”

già: perchè?

 

quella lezione mi ha mandato in tilt. mi chiedo spesso come posso rappresentare chi vive esperienze lontane da me, ma mi sono chiesto di rado se posso farlo. come questa domanda mi si affaccia alla testa parte un effetto tipo reduce del Vietnam, con le urla di chi dice che non si può più dire nulla allora, che un maschio bianco cisetero può parlare solo di sé stesso etc etc etc (storia vera e reiterata, sob). e, soprattutto, posso pure impegnarmi a “stare sul pezzo”, ma alla fine una parte di me è arrogantella ed egoista e pensa subito che “ehi, gli altri è il caso che non scrivano di esperienze che non conoscono, ma io sono sul pezzo, mi informo, leggo, ascolto, quindi posso farlo”. shame on me.

la risposta istintiva alla domanda di Djarah è: perché è giusto, e perché voglio mettere a disposizione il mio potenziale privilegio (quello di una sperata futura pubblicazione) a vantaggio di chi potrebbe non goderne.

ma se è questo l’obbiettivo, possono esserci soluzioni diverse, che vadano verso una direzione il più rispettosa possibile dei gruppi marginalizzati?

 

parlandone con unә amicә qualche settimana fa, questa persona ha detto la cosa che dal mio punto di vista chiude già il dibattito: l’esperienza di un’altra persona non è qualcosa che si può imparare, che si può studiare. posso pure passare tre anni a leggere testimonianze sull’ONIG e sulla vita di una persona trans non medicalizzata, degli effetti del binder sulla schiena e dell’euforia di genere, ma non posso capire cosa voglia dire essere una persona trans. posso essere spocchioso come Jonathan Franzen e studiarmi la tettonica a placche per tirarti giù paginate noiosissime solo perché mi credo figo, ma non posso fare la stessa cosa con la vita delle persone.

e visto che la rappresentazione di molti gruppi marginalizzati è scarsa, ogni personaggiә X nerә, trans, queer, disabile avrà un’enorme responsabilità, perché (purtroppo) sarà l’unico contatto verso quelle esperienze per un sacco di lettricә. anche partendo dalla mia esperienza di frocio con sempre più dubbi sulla propria identità di genere, posso contare sulle dita di una mano le volte in cui mi sono visto rappresentato davvero in modo sincero e rispettoso, in cui non ho visto personaggi gay essere trasformati in macchiette, in vittime, o in cloni degli etero. ci sono anche quelle retoriche che nascono con le migliori intenzioni ma che sono problematiche, come “l’amore è amore” o “ci sono ennemila specie omosessuali, ma solo una omofoba”. per le persone trans c’è il problema del “natә nel corpo sbagliato”. c’è trasversalmente lo sguardo pietista, la necessità di giustificare le vite delle persone non normate attraverso la sofferenza, trasformando le nostre storie in pornografie del dolore. sono narrazioni che emergono da ambienti “alleati”, nate pensando di dare una mano, ma che finiscono per creare nuovi problemi perché reiterate senza capire cosa realmente sia quell’esperienza.

anche per questo, gira che ti rigira, l’unica soluzione coscienziosa che trovo è: metterci da parte e fare in modo che ognuna di queste persone possa parlare il più possibile, che la sua voce abbia il volume più alto. che scriva la sua storia. spendere le energie che abbiamo per fare in modo che accada, invece di lamentarci che non possiamo dire più nulla.

 

anche perché, non è vero: possiamo continuare a narrare il razzismo, sessismo, omolesbobitransfobia, abilismo etc attraverso la nostra esperienza (che non vuol dire metterci al centro della narrazione).

se vogliamo davvero essere alleatә, abbiamo un grosso vantaggio da condividere, che è quello di narrare il modo in cui anche ә più woke tra noi collaborano al mantenimento di un sistema repressivo verso i gruppi marginalizzati. posso mostrare il razzismo che porto dentro di me, la mia transfobia, la mia omofobia, il mio sessismo. non è niente di nuovo e l’abbiamo ripetuto più volte anche qui: possiamo essere sul pezzo quanto ci pare, ma viviamo in una cultura fortemente repressiva, e quei pensieri si infilano costantemente nella testa. la colpa non è nel primo pensiero, ma in come agiamo poi. da maschio posso mostrare il modo in cui la performatività della mia identità di genere sia tossica, avveleni me e gli altri uomini che ho accanto. da bianco posso mostrare le ingiustizie del quotidiano che vanno a mio vantaggio, o i miei silenzi davanti all’ennesima battuta razzista di unә collega. non serve scomodare personaggi con esperienze che non ho vissuto per parlare di queste tematiche. sono convinto che sia una scelta importantissima, perché (come mi lamentavo qui) molto spesso nelle narrazioni chi agisce in modo razzista, sessista etc è così fortemente caricato in modo negativo da creare un’enorme distanza con chi esperisce la narrazione, permettendolә di pensare che quindi lәi non sia complice, partecipe del sistema di oppressione trasversale. mostrare personaggi comuni, tridimensionali, con pregi e difetti che portano avanti la propria vita e, inconsapevoli, continuano a tenere in piedi un sistema oppressivo, è il servizio migliore come narratricә che possiamo fare a chi continua ad essere spintә al margine.

 

sono consapevole che sia un tema complesso, e che i temi complessi richiedano risposte articolate. ci sono un sacco di dubbi che rimangono aperti: dove posso tracciare il confine tra le esperienze che posso capire e quelle che non? come creo un mondo plurale senza fare disastri? cosa posso fare con il weird per affrontare queste tematiche (e vorrei tornarci)?

vorrei una risposta sicura, ma non la ho. probabilmente tornerò tra un mese con un’idea totalmente diversa. però so una cosa: collaborare alla costruzione degli immaginari, delle narrazioni è un onore. non deve per forza essere facile. ma se proviamo ad ascoltare i bisogni di chi vive il margine sulla propria pelle ogni giorno, forse sarà più semplice anche per noi sapere come fare la cosa giusta.

 

abbracciotti dal pack.

 

Posted in chihuahuaTagged #identità, margine, narrazione, privilegio, scrittura

il corpo dell’altra, o il problema di “Ohio” di Stephen Markley

Posted on 2021/03/29 by queerwolf

per la nostra rubrica interiora, oggi squartiamo uno dei romanzi più letti dello scorso anno.

Ohio è il romanzo di debutto di Stephen Markley, che gli ha garantito un paragone diretto con Jonathan Franzen. dato che il pack non si occupa di recensioni ma di rappresentazione, vi linkiamo qui un’analisi di Luca Briasco su il manifesto.
e visto che è facile brontolare, ma è importante anche proporre delle soluzioni, divideremo il post tra ringhiatine e possibilità. e, cosa importante: l’articolo è privo di spoiler*.

 

grassa, vecchia e brutta
una breverrima premessa. Ohio è un romanzo diviso in quattro parti più una. ogni parte è narrata dalla prospettiva di unә dellә protagonistә. quando ho incontrato il primo personaggio (Bill Ashcraft) ho concesso all’autore il beneficio del dubbio: protagonistә diversә dovrebbero portare prospettive diverse, e speravo che la parte problematica fosse specifica del personaggio.
invece è un tema che lә accomuna tuttә: il modo in cui guardano il corpo delle donne è tremendo.
non è l’unica cosa spiacevole del romanzo: abbiamo pelli caffelatte o caffè e panna; un certo classismo (i personaggi maschili esplicitamente brutti o gretti sono anche poveri) che cozza coi sermoni che piacciono all’autore; il paragonare il dolore e la difficoltà per l’accettazione della propria omosessualità e l’accettazione da parte di un genitore. il caricare su una minoranza il dovere di farsi accogliere dalle altre persone. una delle protagoniste, Stacey Moore, è al limite del tokenism lesbico.
lo sguardo verso le donne però, soprattutto se non protagoniste, è trasversalmente funzionale, finalizzato a valutarle come oggetti esistenti solo per la propria soddisfazione erotica o non degne d’esistere.
due personaggә molto diversә come Bill Ashcraft (attivista di sinistra disilluso con problemi di droga) e Stacey Moore (scrittrice lesbica ambientalista proveniente da una famiglia religiosa) hanno la stessa prospettiva. quando parlano di una donna, per prima cosa dissezionano il suo corpo. la sua esistenza è degna solo se è bella (o figa o “fighetta affascinante” [pg.141]), o “bella nonostante”, dove di solito è “nonostante il peso” (es: pg.206 “Un po’ sovrappeso ma sempre bella”) o “nonostante l’età” (es: pg. 213: “Hilde aveva sui quarantacinque anni, e le borse sotto gli occhi a conferma della sua età, ma era ancora uno schianto”). la bellezza di solito è data dalle tette, possibilmente grosse (es: pg. 249), dai fianchi o dal culo, ma principalmente “bella” è sufficiente a riassumere tutto ciò che conta in una donna. se il numero di aggettivi per descrivere l’aspetto è misero, si riducono a tre quando si parla di personalità. tutto si può riassumere, almeno per le donne non protagoniste, con intelligente, affascinante e un isterica che viene lasciato sempre tra le righe (es: pg.123/124).
il tempo ha sempre un effetto fisico sul corpo delle donne: “appesantita” deve essere la parola preferita di Markley (es: pg.186, pg.200). una donna invecchia e quindi diventa brutta e diventa brutta principalmente perché ingrassata. è così ovvio che se lo sguardo è pieno di affetto, allora bisogna rimarcare l’assoluzione della vittima (“tutta la ciccia […] non la rendeva meno bella ma più umana”). sono considerazioni che non vediamo praticamente mai sul corpo degli uomini, e che al massimo sono portate con indulgenza. l’unica eccezione è quando l’uomo deve essere uno dei “cattivi”. a questo punto “era piuttosto brutto […],pieno di brufoli, sovrappeso, sudava come un animale ed era povero” (pg.220). perché ovviamente povertà e peso sono di nuovo delle colpe. o il big cattivo della storia ha “naso largo, le labbra grosse, burrose [nb: ti ricordi come Lovecraft descriveva Wilbur?]. In quel momento erano [tratti] sodi e fanciulleschi ma in pochi anni sarebbero diventati mongoloidi” (pg.136) (subito dopo uno dei buoni invece “aveva un’aria brutale da eroe”).

Markley è stato criticato ampiamente per i pipponi morali alla Franzen che distribuisce lungo il testo. se ci fosse stato un intento di critica contro misoginia o body shaming, a un certo punto avremmo trovato dieci pagine di sermone. invece né lui né ә editor né tutte le persone che hanno collaborato al testo si sono poste il problema. bene.

 

non si può più dire niente
credo non servano altre spiegazioni per giustificare la rabbia provata leggendo Ohio. è considerato uno dei romanzi migliori dell’anno passato, e Markley è figlio di quell’industria della letteratura che sono le accademie di scrittura americane (bestemmie sottaciute).
credo sia però importante mostrare che ci possono essere altri modi di narrare. nelle conversazioni attorno al tema della rappresentazione arriva sempre la finta domanda: “come faccio se voglio creare unә personaggiә che è misogino, razzista etc? così non si può più dire niente”.
quando scriviamo, due voci scorrono nella stessa penna/tastiera. una è quella che accompagna la prospettiva dellә personaggiә, l’altra è la voce dell’autricә. a seconda del nostro stile la seconda può essere o meno trasparente, ma se sappiamo tenere conto della divisione tra le due, si può fare davvero molto.
prendiamo per esempio Bill Ashcraft. una delle cose che ci viene detta (non da Bill ma solo successivamente da Stacey) è che Bill è scuro di pelle**. ora, mettiamo il caso che tu sei Markley e il tuo intento è mostrare un Ashcraft misogino. non servono grandi cambiamenti nel testo, ma giusto una buona consapevolezza del materiale con cui stai lavorando. basta letteralmente una frase.
le persone scure di pelle (non so se sia la descrizione originale nel testo o un problema di traduzione, e lascia aperte molte possibilità) conoscono l’oggettificazione sessuale del proprio corpo. basta una ricerca su Pornhub per vedere i loro corpi trasformati in categorie: nerә, latinә, indianә etc etc. tu che sei Markley, e sai questa cosa, dopo l’ennesima lista di culi e tette e fighe di Ashcraft puoi farlo lamentare “perché è stanco di quelle tipe che lo raccattano al bar dicendogli “Voi neri/latini/indiani siete così focosi!” (frase di merda, lo so). Ashcraft sente il peso di diventare un oggetto sessuale e non una persona ma non si rende nemmeno conto di fare la stessa cosa con ogni donna, e la tua voce autoriale ci ha fatto capire che sei criticә, che non ti riconosci nella prospettiva misogina di Ashcraft.
un periodo, un solo periodo in 130 pagine dedicate a lui, non un grande stravolgimento.
può esserci l’amica che gli dice “ti definisci progressista ma poi ci tratti tutte come tette con le gambe”. può esserci un momento di realizzazione ricacciato subito nei recessi della mente. una frase di sottofondo in televisione. un adesivo sulla macchina di un’attivistә. un vecchio ricordo. il verso di una canzone. può esserci lo stesso biasimo che viene scaricato su una donna che è ingrassata, invecchiata, o sul tizio che è cattivo e quindi coi brufoli e la ciccia.
quando rompo le scatole dicendo che ogni narrazione è responsabile della costruzione degli immaginari collettivi e blah blah blah intendo anche questo: credo sia fondamentale mostrare personaggә con prospettive problematiche, ma è altrettanto centrale fare capire che lә stiamo problematizzando. non è vero che non si può dire niente: si può dire tutto, ma il dovere di chi scrive è sapere come rendere problematico ciò che è problematico. altrimenti l’unica cosa che stiamo chiedendo è di non avere responsabilità.

 

* anche per questo non viene toccato il finale, che però raggiunge livelli di problematicità epocali. il pack si riserverà di fare un intervento ad hoc in futuro.
** spoilerozzo. qui offro all’autore il beneficio del dubbio, non avendo recuperato l’effettivo passaggio in inglese e non sapendo quindi se sia un problema di traduzione. ma scopriamo il colore della pelle di Ashcraft diverse pagine dopo una fuga dalla polizia e mai, mai vediamo la prospettiva di una persona di pelle scura che fugge dalla polizia americana che è famosa per tante cose, ma di certo non per la gentilezza con cui tratta le persone BIPOC (neri, indigeni e persone di colore). Ashcraft fugge quasi con leggerezza, con le stesse reazioni e preoccupazioni dello spacciatore bianco con cui sta scappando.

Posted in interioraTagged cattiva scrittura, corpi, letteratura, narrazione

autricә imbarazzanti e cosa farne: parte due, quella leggera

Posted on 2021/03/17 - 2021/03/17 by queerwolf

eccoci di nuovo, amicә, dopo il post serioso dell’altra volta.

quindi: hai scoperto che lә tuә registә preferitә colleziona più accuse di stupro che Oscar.

che fare?

qui sotto troverai alcune proposte, più o meno condivisibili, più o meno efficaci. spesso la loro forza dipende da due fattori:

  • il primo, è se l’autricә è ancora in vita: alcuni elementi (esempio a caso: i soldi) possono influenzare il prossimo quando ha bisogno di pagare il riscaldamento del suo castello. lo fanno lә nostrә capә a lavoro con noi, perché non farlo con lә autricә imbarazzanti? considereremo vivә anche lә autricә che possono essere fisicamente polvere ma culturalmente presenti, prese ancora come modello da altrә autricә.
  • il secondo, è il modo in cui le sue idee si riflettono o meno nell’opera: ci sono autricә che riescono a mantenere un certo filtro. altrә che rappresentano mondi permeati da ideali che poi non portano nella realtà. altrә non si fanno problemi a inserire riferimenti razzisti, sessisti, omolesbobitransfobici: con un po’ di fortuna, verranno definitә dellә enfant terrible.

(parleremo per lo più di libri, ma queste soluzioni bene o male sono applicabili a ogni forma d’arte)

 

metodo Madonna, aka “Material Girl”

adatto per: autricә ancora in vita, morte con eredi meh, opere basate in modo acritico sulle opere di autricә imbarazzanti.

perché vivere in un paese capitalista deve essere solo un vantaggio per l’autricә affermatә, e non diventare un problema? facciamo allora ә ragazzә materialistә: spendiamo i nostri soldi per cioccolata, glitter e saggi di bell hooks. nel mentre se vogliamo comunque leggere le loro storie, prendiamo i libri dell’autricә imbarazzantә in biblioteca, da un’amicә che li ha già. o compriamoli usati, così da aiutare qualche poverә libraiә.

non si tratta di una scelta da poco: se qualcunә ha delle idee di merda, è probabile che coi suoi soldi favorirà idee e gruppi politici di merda. se oggi smettiamo di comprare i libri di Orson Scott Card sicuramente non morirà di fame, ma almeno la smetterà di uscire con Ben Shapiro, o di indossare quegli orribili vestiti.

lo sapevi? Orson Scott Card (autore di Ender’s Game) è orgogliosamente omolesbobitransfobo. ma tipo che non perde un’occasione per prendersela con le persone queer e trans. Orson, amica: fatti una vita.

 

metodo I racconti nel muro, aka “No mamma, non era Lovecraft ma un porno, giuro!”

adatto per: quell’autricә con cui sei cresciutә, ma.

oltre ai soldi, ә autricә imbarazzante può utilizzare fama e visibilità come merce di scambio: e chi genera quella visibilità?

sempre per il principio del personal branding, non parlare di un’autricә, soprattutto sui social, è un modo per depotenziarlә o, per lo meno, non rafforzarne la visibilità: ok, non siamo Chiara Ferragni, ma anche noi influenziamo la nostra bolla.

personalmente la vedo come un’opzione di transizione verso il metodo Ariana Grande.

lo sapevi? Michel Houellebecq è un filino islamofobico. ok, Le particelle elementari può pure essere un gran romanzo, ma perché non provi, che ne so, un China Daddy Miéville?

 

metodo Ponzio Pilato, aka “Separiamo l’opera dall’autore”

adatto per: no

sul perché, ti rimandiamo alla prima parte dell’articolo. e ti diamo un abbracciotto per essere arrivatә fino a qui: grazie.

 

metodo HBO, aka “Contestualizzare”

adatto per: no.

no, perché quando si parla di un’autrice imbarazzante, è un metodo neutrale tanto quanto il Ponzio Pilato. casualmente, l’amicә pronta a separare l’opera dall’autricә è anche lestә nel ricordarci che “dai, insomma, facevano tuttә così all’epoca”. citando Nnedi Okorafor: “il fatto che un sacco di gente all’epoca fosse razzista non cambia il fatto che Lovecraft fosse razzista”.

lo sapevi? V. S. Naipaul, autore premio Nobel per la Letteratura nel 2001, durante la sua carriera ha avuto numerose uscite razziste e misogine, fino alla fine dei suoi giorni. ma bisogna contestualizzare: era solo il 2018.

 

metodo Social Justice Warrior, aka “a questo giro non mi incazzeroooohhh! ma come puoi pensare ‘sta roba Giancoso, seriamente?!?”

adatto per: ogni tipo di autricә, ma solo se si ha molta pazienza e nessun disturbo ansioso. e qualcunә che ti consoli.

ovvero: intervenire nei post in cui si parla di quell’autricә per informare. è un lavoro emotivamente costoso, fatto a favore delle altre persone: se le soluzioni precedenti riguardano il rapporto tra te e l’autricә imbarazzante, in questo caso si tratta di far capire a chi ancora non sa che beh, insomma, lә suә scrittricә preferitә è orgogliosamente misogina. scelta non facile quando ad esempio si parla di letteratura weird, realtà discretamente reazionaria e misogina.

lo sapevi? JK Rowling, dopo diversi, ehm, accidentali like a tweet transescludenti, sta difendendo da mesi le sue posizioni giustificandole anche attraverso elementi del suo passato (ding dong: metodo HBO) che, da persona che ha vissuto uno stupro, trovo doppiamente offensivi: non si usa un’esperienza così orribile per colpire persone innocenti. non paga, il nuovo romanzo ha al centro un uomo che si traveste da donna per uccidere le donne. spoiler: l’assassino è Lars Von Trier.

 

metodo Gimme More, aka “It’s Britney, B*tch!”

adatto per: soprattutto le autricә vive. quelle che potrebbero arrabbiarsi proprio tantissimo.

internet ha creato un sacco di cose magnifiche: meme, OnlyFans, fanfiction. una delle risposte più creative allә autricә imbarazzantә è espropriarlә dei propri universi di produzione per creare storie che includano quei gruppi marginalizzati in modo rispettoso. è quello che hanno fatto Kij Johnson e Victor LaValle con Lovecraft: la prima con La ricerca onirica di Vellitt Boe ha messo una donna al centro dell’universo onirico di HP; il secondo, con La ballata di Black Tom ha affrontato la questione razziale. e poi abbiamo Lovecraft Country (libro di Matt Ruff, serie di Misha Green). personalmente, non vedo l’ora di leggere di quando Emis Killa perse il lip–sync contro Alyssa Edwards. di nuovo.

lo sapevi? Dan Simmons, autore della saga di Hyperion, è omofobo, islamofobo, e un attimino “quella cosa che in Italia non esiste più dal 1945”.

 

metodo Annabelle

Adatto per: autricә mortә ma che continuano a venire presә come modello.

bambola, tavola ouija, serata con lә amichә, buca profonda ed è fatta.

lo sapevi? sì, direi che sì, lo sai. Lovecraft. sigh.

 

metodo Ariana Grande, aka “Thank You, Next”

adattoper: qualsiasi situazione, ex inclusә.

l’abbiamo lasciato in fondo perché più che un metodo, è uno stato d’animo.

ok, carә autricә: abbiamo vissuto momenti magnifici assieme. sono cresciutә con te, hai ispirato i miei sogni e le mie partite a D&D. è stato bello, ma è ora di guardare altrove.

non è insolito che autricә spariscano per molto meno: non ce ne lamentiamo quando l’assassino è la Mano Invisibile del Mercato™, o quando gli ideali di quell’autricә sono spirati con lei:

Ricca o povera, Italia,
sei la patria mia.
Sei così bella che somigli alla mia mamma.

Renzo: Thank You, Next.

anche la migliore delle amicizie può finire, compresa quella con un’autricә: arrivederci, e grazie per tutto il pesce.

 

e quindi

Google ci dice che al mondo ci sono 129.864.880 opere diverse da leggere. anche con tutto l’impegno, potremo leggerne durante la nostra vita lo 0,005 % (fa male, lo sappiamo).

di libri magnifici scritti da autricә non imbarazzanti ce ne sono a quintali.

vuoi avere terrore? chiudi Howard Potter Lovecraft e perditi tra i racconti di Thomas Ligotti.

vuoi leggere di adolescenti indimenticabili e lezioni di magia e di vita? dimentica i libri della Regina delle TERF e perditi tra le pagine di Akata Witch e Akata Warrior di Nnedi Okorafor.

vuoi un fantasy epico capace di parlare di razzismo lungo trame grandiose? innamorati di N.K. Jemisin e della sua trilogia La Terra Spezzata, e lascia Silvana de Mari sola coi suoi sproloqui.

se il tuo cuore brama il futuro, ignora quello di Orson – penso più ai gay degli stessi gay – Scott Card e affidati agli imperi di Ann Leckie, dove AI senzienti sanno empatizzare col prossimo più di moltә autricә.

e ancora: ci sono tre continenti che ignoriamo per la maggior parte della nostra vita, salvo forse per cercare una vacanza esotica. vuoi che non ci siano autricә magnificә che hanno avuto solo la sfortuna di non esser natә da questa parte del globo? lavoro e capitale già rendono le nostre vite soffocanti: allarghiamo il nostro sguardo.

 

visto che l’abbiamo citata più volte, vorremo concludere con una citazione di Nnedi Okorafor, tratta da una riflessione che ha fatto quando si è ritrovata in casa il busto di Lovecraft, premio vinto per il Miglior Romanzo ai World Fantasy Award del 2011:

“Lovecraft probabilmente si sta rotolando nella tomba. o, forse, diventato spirito, la sua mente si è ripulita dal veleno e ora comprende gli errori del passato. magari è felice che un libro ambientato e su un’Africa nel futuro abbia vinto un premio realizzato in suo onore. sì, è quello che voglio immaginare”.

e se gli spiriti possono cambiare, possono cambiare pure lә lettricә.

alla prossima, amicә.

Posted in chihuahuaTagged J.K.Rowling, Lovecraft, narrazione, Nnedi Okorafor, scrittura

procionә – ho il diritto di non supportarti

Posted on 2021/03/10 - 2021/03/17 by queerwolf

buongiorno dal pack <3

oggi vogliamo condividere con voi un post che viene da un altro blog, quello dellә scrittricә Francesca Harriet Ed Cappelli. lo condividiamo con voi, perché va ad arricchire le riflessioni fatte nel nostro post sulle autorialità imbarazzanti,e perché tutto il progetto di Café Revolution tocca le tematiche care al pack: la narrazione come azione sul mondo, come la narrazione agisce sui gruppi marginalizzati.

 

eccovi il post:

Non ti voglio supportare

un abbracciotto e buona lettura.

 

Posted in procionәTagged critica, J.K.Rowling, Lovecraft, narrazione, razzializzazione, scrittura4 Comments

autricә imbarazzanti e cosa farne: parte uno, quella seria

Posted on 2021/03/07 - 2021/03/17 by queerwolf

Sulla Creazione dei Ne*ri

Quando, tempo addietro, gli dèi crearono la Terra

Sulla bella immagine di Giove l’Uomo venne plasmato alla nascita.

Le bestie minori vennero poi ideate;

Ma erano troppo distanti dall’umanità.

Per riempire il vuoto e collegare il resto all’Uomo,

Gli ospiti dell’Olimpo han congegnato un piano intelligente.

Una bestia hanno forgiato, di foggia semiumana,

Colmandola di vizi, e chiamando questa cosa un Ne*ro.

 

se in un gruppo di appassionatә del weird definisci H.P.Lovecraft razzista o misogino, arriva subito la polizia MBEB ad arrestarti: reato di incapacità di contestualizzazione, di “non capisci che era normale all’epoca?!?” e via di seguito. a volte arriva qualcuno che ti dice: “eh, ma la poesia (quella qui sopra) è del 1912! poi è cresciuto”. dimenticando che, e.g, per farci capire che il Wilbur Whateley de L’orrore di Dunwich (1928) era bruttissimo, Lovecraft ci dice che aveva delle bestiali grosse labbra e i capelli crespi e arruffati. il razzismo pervade la narrazione lovecraftiana, così come le posizioni transfobiche di Rowling emergono nel romanzo più recente. il pack si prenderà un paio di post per ragionare su cosa questo significhi, su come possiamo agire. e sul perché sia urgente fare qualcosa.

 

l’MBEB police obietta

facciamo le cose a ritroso, partendo dall’obiezione più frequente quando l’argomento viene messo sul tavolo. c’è chi parlerà di censura, chi di cancel culture. chi griderà dicendo che oramai non si può più dire niente, e chi che basta separare l’opera dall’autore.

l’ultimo è un mantra comune quando il discorso cade in ambiti “dotti”.

questa posizione si appoggia sulle idee di Roland Dexter Barthes. Roland Barthes è stato un critico letterario e semiologo francese di orientamento strutturalista (lettura di Wikipedia: achievement unlocked).

stanco di vedere una critica letteraria che analizzava le opere attraverso il contesto e la vita dell’autricә, Roland un giorno lancia il tavolo per aria e dichiara: una volta stampata, l’opera è dellә lettricә. un’opera esiste a prescindere dallә suә autricә, e tutto quello che verrà affermato in seguito da lәi varrà zero. “l’autricә è morta” sogghigna Roland, ululando alla luna.

quindi Barthes ci dice: davanti ad un’autricә imbarazzante si prende l’opera, si ignora ciò che non è nel testo, amichә come prima. il pack è un po’ meno convinto, e quindi eccoci prontә a borbottare contro l’amico francese. per farlo seguiremo le riflessioni di Lindsay Ellis.

per Lindsay, ciò che dice Roland funziona in una campana di vetro: ricevo un testo nudo, privo di copertina, sinossi, pubblicità. non ho idea di chi sia l’autricә, delle opinioni del resto del mondo su questo romanzo. allora forse saprò non metterci altri pregiudizi, solo la mia fantasia.

 

il quotidiano in cui viviamo però è ben diverso.

l’autricә è vivә e molto attivә: su Facebook ci racconta cosa mangia, su Youtube cosa legge, e usa Twitter per parlare di politica.

l’autricә va in televisione e ai festival, presenzierà alla prima del suo film, racconterà i nuovi elementi del videogioco o della serie televisiva a cui ha collaborato.

il paratesto è pervasivo, e influenza il modo in cui ci approcciamo al testo. moltә autricә creano un vero e proprio personal branding, e questo fa sì che quando ci approcciamo a un testo di Baricco, e.g., troveremo roba spocchiosa e fastidiosa troveremo cose fortemente sovrapponibili al modo in cui fa critica, alle cose che scrive sui giornali, che dice durante i festival.

questo accade persino quando non sappiamo nulla dell’autricә: quante persone hanno costruito tesi complessissime sull’identità di Elena Ferrante, cercando di dedurla da uno specifico riferimento geografico o linguistico nei suoi romanzi?

da quando è uscito l’ultimo romanzo di T.E.Rfowling, le recensioni sembrano lanciate principalmente nel comprendere se il serial killer sia o meno una riconferma delle recenti posizioni dell’autrice (spoiler: sì, linko due video in merito).

autricә e testo si influenzano a vicenda, amplificando i rispettivi valori. Roland Dexter Barthes pulisce un coltello con cui ha solo ferito l’autricә, ma questә è vivә e felice.

 

bias

non c’è solo il problema del paratesto.

 

una lettura capace di dividere opera e autricә richiede unә lettricә capace di riconoscere e affrontare non solo i bias dellә scrittricә ma anche i propri. ed è un lavoro complesso, estenuante, che crea un disagio spesso difficile da gestire.

 

tuttә noi cresciamo in una cultura fortemente misogina, razzista, aggressiva verso le diversità. questi messaggi vengono reiterati ogni giorno attraverso la politica, i mezzi di informazione, di intrattenimento, le opere artistiche. le battute abiliste e omofobe sono così normali che se qualcunә ci fa notare che ne abbiamo detta una, ci mettiamo sulla difensiva.

questo mettersi sulla difesa è comprensibile, perché chi ci fa notare i nostri bias prima o poi solleciterà il senso di colpa: per permetterci di sentirci delle “brave persone”, le maglie sociali si sono fatte così larghe che ci aspettiamo di poterci ritenere, e.g. , non razzistә solo perché non usiamo la parola con la n, ma poi ci offendiamo quando la nostra vicina afrodiscendente ci dice infastidita che “No, i miei non sono africani ma etiopi, e io sono di Casalpusterlengo, smettila di chiedermi da dove vengo”.

le persone principali che possono mettere a nudo i nostri bias sono quelle che fanno parte di quella minoranza marginalizzata. ma quando queste persone mettono l’accento sull’elemento problematico, spesso vengono attaccate e definite immature, con un eccesso di attenzione per le proprie emozioni. oppure prive di basi teoriche. responsabili di distrarci dalle lotteveramenteimportanti™.

perché voler decostruire un sistema che ti uccide solo perché sei fr0cia, effettivamente, non è una lotta importante.*

 

e quindi, al di là della rabbia personale: non mettiamo in discussione che tu, amicә, sappia e voglia leggere l’opera in modo davvero neutrale. e che davanti al disagio che provi quando qualcunә ti farà notare un tuo pregiudizio mentale abbraccerai quel disagio, lo decostruirai, lo supererai. ma la maggior parte delle volte, quando ci ritroviamo davanti alla frase “separiamo l’opera dall’autore”, l’impressione è che sia solo un modo intellettuale per dire “il mio godimento dell’opera viene prima della vostra sicurezza”.

 

“basta moralizzatricә!”

collateralmente un’altra obiezione al discorso è legata al terrore che l’arte venga “moralizzata”, spesso evocando anche quel fenomeno che viene chiamato cancel culture.

brevemente, si intende con Cultura della cancellazione la rimozione dalla vita pubblica di persone o aziende che agiscono contro i gruppi marginalizzati. nella mente di chi è terrorizzata dalla Cancel Culture, i gruppi marginalizzati sono entità potenti (es: la famigerata Lobby Gay, le nazifemministe) che con un po’ di casino su Twitter possono far diventare Allen o Polanski indigenti. nei fatti, non sembra essere questa minaccia così concreta. ad esempio, l’Autrice Imbarazzante per eccellenza di quest’ultimo anno e rotti, J.K. Rowling, macina ancora soldi senza problemi, ha film in produzione, un altro videogioco, e sembra stia per lavorare su una serie televisiva legata ad Harry Potter.

di contro, come ha detto dichiarato in un tweet la politica Alexadria Ocasio-Cortez, non ci lamentiamo delle voci che sono da sempre cancellate: quelle di chi fa un certo tipo di politica, così come quelle delle minoranze (spoiler: provate a cercare quanti romanzi di autrici trans esistono in italiano).

 

in merito alla “moralizzazione” dell’arte invece, pensiamo sfugga un punto fondamentale: ogni opera d’arte è già di per sé portatrice di una morale, perché fa riferimento ad un insieme di norme e valori, e li considera come dati di fatto.

 

nelle narrazioni andiamo a definire sempre ciò che si oppone alla norma e mai la norma stessa, ritenendo la norma portatrice di una morale in modo implicito (mentre per l’eccezione, la prospettiva va sempre bene o male specificata): non dico che Anna e Marco vivono una relazione monogama, ma specifico che Anna, Marco e Mattia sono in una troppia. non dico che Anna è una buona madre perché si lascia morire di fame pur di salvare i suoi figli, ma giudico Lucrezia che ha preferito dare in affido il figlio che non fare una vita di merda. gli scienziati di Lovecraft sono sempre nel giusto, perché la scienza è nell’immaginario lovecraftiano intrinsecamente morale (tranne se sei Herbert West, ma allora lì viene specificato). Hermione lotta per la liberazione degli elfi, ma non per quella di Molly Weasley, perché nel mondo di Rowling (come nel nostro) è ovvio che una madre sia una schiava, e la magia serve non per liberarla da questo giogo, ma per ottimizzare il suo lavoro.

 

quando i gruppi marginalizzati mettono l’accento su determinate cose, non chiedono una moralizzazione: chiedono un cambio di prospettiva sulla morale già esistente in quell’opera e, quindi, del mondo che ci circonda.

politica e morale sono qui sovrapponibili per gli atteggiamenti presenti nel discorso comune: pensiamo alle frotte di giocatori che dicono “basta politica nei videogiochi!” quando vengono introdotti personaggi queer o razzializzati, senza rendersi conto che anche l’assenza di questi personaggi è già una scelta politica. allo stesso modo, una storia che descrive il cattivo come “con la bocca larga e i capelli ricci e crespi” è una storia moralizzata, e se chiedi di togliere la moralizzazione dall’arte, vuol solo dire che non stai vedendo quella già presente, e le conseguenze sulla vita delle altre persone.

 

ed è questa la risposta alla domanda “Perché bisogna fare qualcosa per le autrici imbarazzanti?”: perché condizionano in negativo le nostre vite, perché collaborano a mantenere narrazioni tossiche sulle comunità marginalizzate. perché collaborano all’oppressione.

perché le conseguenze sulla realtà ci sono. è una cosa che abbiamo già evidenziato altrove: le narrazioni creano il reale, e per questo ne siamo responsabili.

scrivere vuol dire agire.

torniamo a Rowling: un senatore repubblicano ha usato le sue parole per richiedere di non estendere alle persone LGBTQIA* la legge statunitense contro le discriminazioni. le parole di Rowling e la sua posizione di prestigio sono servite per appoggiare un’azione politica transfobica.

 

quando si propongono azioni (come quelle del prossimo post) in risposta a determinate posizioni, e quelle azioni vengono criticate per il semplice fatto che esistano, si sta sostanzialmente chiedendo a chi è vittima di certe narrazioni di cancellarsi.

in un assurdo gioco dei ribaltamenti, chi chiede di non moralizzare le arti chiede che la parte offesa venga silenziata, cancellata, e preserva per chi ha già potere il diritto di dire quello che vuole, senza conseguenze.

noi crediamo sia invece giusto smetterla di mettere una sola prospettiva al centro dell’universo, e imparare a ritenere valide e importanti le esperienze di chi vive in vari modi ai margini della norma, restando in ascolto.

e riteniamo sia giusto proporre una cultura della conseguenza, una cultura in cui le azioni aggressive contro chi è più esposto abbiano dei risultati.

il prossimo post parlerà (in modo più caciarone) di come creare queste conseguenze.

 

il pack vi abbraccia.

 

* tra l’altro, così si chiede a chi fa parte di una comunità marginalizzata di trovare energie per creare il proprio benessere (che il mondo fuori ostacola in tutti i modi),  per chiedere al mondo di riconoscere la sua esistenza, e  per portare avanti un confronto con persone a cui spesso non importa un granché della faccenda, che si sono già attestate su posizioni comode perché per loro, alla fin fine tutto questo non rimane che un gioco intellettuale che non comporta alcun rischio. e se, sotto tutta questa pressione, la persona in questione sbarella un attimo, finisce subito in un rogo virtuale.

Posted in chihuahuaTagged genere, J.K.Rowling, letteratura, Lovecraft, narrazione2 Comments

interiora: Antebellum

Posted on 2021/03/04 - 2021/03/17 by queerwolf

[con questo post introdurremo una rubrica (assolutamente randomica) che commenterà film, serie, videogiochi, romanzi e la loro capacità di rappresentare le comunità marginalizzate. se hai domande, suggerimenti etc, sei sempre ә benvenutә. salvo dove diversamente indicato, i commenti saranno privi di spoiler. la primavera sta assopendo la nostra fantasia: si accettano suggerimenti per il titolo.]

 

Antebellum è un thriller del 2020 che cerca di seguire la linea lanciata da Jordan Peele con Scappa – Get Out e Us, ovvero usare il weird per riflettere su cosa sia il razzismo, su quale sia il nostro rapporto con l’altro, le nostre responsabilità.

qui c’è un’ottima critica al modo in cui le persone nere vengono rappresentate nel film. in generale, Antebellum ha messo in campo due tipi diversi di marionette vuote, prive di spessore, tridimensionalità. ci sono le persone bianche cattive in modo randomico, crudeli in quanto crudeli, punto. le persone nere non sono nemmeno “buone” ma solo vittime, affidando la narrazione a un altro tropo problematico, quello della persona (spesso donna) nera sofferente.

potrebbe sorprendervi, ma lo sguardo pietista fa danni tanto questo quello carico di odio. ci torneremo in futuro.

 

da un’ottica più ampia, Antebellum si porta dietro un problema comune a molte storie sviluppate da una prospettiva da salvatricә biancә/cis/etero, ed è l’attribuire al soggetto cattivo di turno dei comportamenti estremi.

 

partiamo da un presupposto: personalmente ritengo ogni narrazione politica, ma alcune di queste si propongono come tali in modo innegabile. di solito prendono quello che è il tema caldo del periodo e ci dicono “le cose stanno così, sveglia!”.

quando l’idea è quella di fare una storia così esplicitamente politica, possiamo immaginare che alla base ci siano degli obiettivi: ad esempio di denuncia di una situazione ritenuta inaccettabile, o una richiesta di cambiare lo status quo in favore di qualcosa di più rispettoso e inclusivo. in fondo ogni politica deve promuovere un certo modo di fare, e se un medium artistico vuole invitarci all’azione, cercherà di dirci anche chi deve agire, per chi e per come. film come Antebellum sono però controproducenti, e per molti versi fanno il gioco dell’oppressorә, perché ci deresponsabilizzano.

 

quando parliamo di oppressione sistemica, che sia per questioni razziali, di genere, di identità di genere etc, sistemica è la parola chiave. vuol dire che tutto quello che avvalla l’oppressione striscia nel quotidiano, si insinua nei gesti che facciamo anche noi, perché a nostra volta collaboriamo al mantenimento di quell’oppressione. lo facciamo quando nostra madre fuori dal supermercato si lamenta di “quel n* che chiede i soldi” e non diciamo niente. quando al bar il nostro amico indica “guarda quella t*, le darei una botta in testa e me la farei nel cesso” e noi ridiamo. quando nostro fratello per offenderci urla che “guidi a Mario Kart come un h*” e noi gli diamo un pugno, offesә. quando in palestra l’allenatore bisbiglia “quella sembra un tra*” e facciamo finta di vomitare.

quando perdoniamo ai politici determinate uscite “perché i problemi veri sono altri”. quando attacchiamo chi cerca rispetto e urliamo alla censura, alla cancel culture. quando ci accorgiamo del razzista/sessista/omolesbobitransfobico dentro di noi, e ci giriamo dall’altra parte.

 

Antebellum ci aiuta a girarci dall’altra parte. ci dice “nel mondo c’è un problema di razzismo, e il razzismo è questo estremo qui, questa cosa assurda. tu non c’entri niente, tu sei innocente”. altri film e serie ci dicono che “il maschio cattivo” è lo stupratore (seriale), che l’omofobo è quello che mena, che l’abilista è quello che mena (di nuovo, perché esiste solo la violenza fisica, mai psicologica, come ci ricorda di nuovo Antebellum).

 

se una storia riconosce la sua politicità, non deve farci stare comodi. se prendiamo ad esempio un altro film esplicitamente critico come Promising Young Woman, qui ogni personaggio, ogni comparsa ci dice dal primissimo minuto che tuttә siamo parte di un sistema sessista che copre e assolve costantemente sé stesso (e in modo quasi metacinematografico, è successo a Carey Mulligan proprio per Promising Young Woman). ciò che è stato fatto a Nina è stato possibile anche grazie ai tizi che fischiano per strada a Cassie, grazie alle scelte fatte dai “bravi ragazzi”.

 

in soldoni: possono esserci due modi per narrare l’esperienza del margine. possiamo fare storie che in superficie ci fanno passare per dellә alleatә, ma che in realtà servono ad assolverci. oppure possiamo ascoltare le voci di chi fa parte di quel margine, i loro bisogni, le loro speranze. riconoscere umilmente le nostre responsabilità, e aiutare altrә come noi ad uscirne.

 

voto per Antebellum: 5/5 MBEB

 

 

Posted in interioraTagged critica, film, razzializzazione, scrittura

l’altro posto

Posted on 2021/02/12 - 2021/03/17 by queerwolf

in questi giorni ho ripreso a scrivere con costanza.

gennaio è stato un mese di passaggio. sentivo così tanto il bisogno di mantenere il periodo creativo nato sotto le feste, che alla fine ho fatto la cosa che purtroppo mi viene meglio: trasformare le cose che amo in un lavoro. anche se sua santità N.K. Jemisin continua a ricordarci che chi scrive deve liberarsi dall’idea capitalista della produttività, mi rendo conto che molto spesso penso e spero che quella nuova storia sia la cosa che in qualche strano modo mi salverà la vita, almeno da un lavoro che odio. questo cozza con la consapevolezza di non essere Virginia Woolf e delle difficoltà di vivere di scrittura ma, ehi, chi sono io per negare la contraddittorietà dell’essere umano?

pian piano però forse sto trovando un certo ritmo ed equilibrio, e la creatività è riesplosa. e ieri, per la prima volta da davvero molto tempo, sono andato nell’altro posto.

sicuramente ci sono nomi più accattivanti, però so che ci vanno un sacco di persone che fanno arte, che scrivono.

è quel luogo in cui ti ritrovi quando perdi i confini con chi sei, con le cose che ti circondano e le parole ti dicono cosa vogliono, cosa si aspettano da te. è un luogo dove non puoi fare tutto, ma dove puoi essere tutto. è un bel posto, quando non ti piace molto ciò che sei nel mondo reale.

 

ricordo che la prima volta che ci sono finitә fu quando scrissi il mio primo racconto lungo. un momento era l’ora di pranzo, il momento dopo fuori era buio, la mia coinquilina urlava per entrare nella camera che condividevamo e io avevo accanto ennemila pagine piuttosto deliranti.

fino a qualche anno fa ci entravo con facilità, a volte anche cantando e ballando in camera, o mettendo le cuffie e camminando per strada. la musica mi ha sempre facilitato il viaggio.

ricordo di quando vivevo nel mio bosco con un ex, e le passeggiate diventavano viaggi terribili. quei due anni e rotti sono stati tremendi, ma all’epoca non ne ero consapevole. le cose che creavo cercavano in tutti i modi di farmelo notare, così come gli incubi. e la quantità di alcool che ingurgitavo. lui poi era infastidito dall’altro posto, e da come tornavo. perché anche se è costoso energeticamente, ci stavo bene. e quando stai bene da qualche parte e poi sei obbligatә a tornare alla realtà, non sempre sei felice. diventano distante, triste, a volte rabbioso, a volte arreso. ogni volta che tornavo dall’altro posto ci ritrovavamo a litigare.

ho finito per smettere di scrivere, bevendo ancora di più. quando la relazione è finita ho scritto il mio primo (e ad ora unico) romanzo, ma è stato una cosa altra. è venuto dalla testa e dalle frustrazioni degli anni precedenti e dalla convivenza forzata dopo la rottura. è stata una scrittura di fuga, ma non mi ha portato in nessun luogo.

ed è stato così per l’anno seguente: un sacco di scrittura, un sacco di alcool, troppa testa. testa e altro posto sono antitetici, perché l’altro posto è opposto al razionale, pur avendo un sacco di sue regole e leggi.

 

quando ho smesso di bere, è rimasta solo la razionalità. ho pensato sempre più spesso alle cose giuste da scrivere, quelle politicamente giuste, quelle che rappresentano le voci che non hanno voce e le cose in cui credo. ma anche questo è stato molto cerebrale. non credo siano venute cose brutte, ma sono state esageratamente faticose. sono state scritte per compiacere, non per star bene.

 

ritrovarmi ieri nell’altro posto è stato straniante, ma bello. è come quando fai sesso dopo un sacco di tempo con qualcuno di cui ti fidi, e ti spaventa quel senso di abbandono e perdita di controllo. devi decidere se lasciarti andare, o mantenere le redini. la soluzione sicura è spesso la peggiore.

ero in un posto dove scrivevo per me, di cose che amavo ma senza pensare al modo per far contentә tuttә. le parole si sono inseguite, i personaggi hanno fatto le loro decisioni, i luoghi sono comparsi da soli. è stato un tributo alla vita. mi ero dimenticato di quanto fosse reale l‘altro posto: sono tornato con la tachicardia, i muscoli tesi, le mascelle serrate. ho vissuto sul mio corpo tutte le emozioni delle scene che avevo scritto. ma al ritorno mi attendeva il lavoro, e sono stato male per buona parte del pomeriggio, completamente incapace di accettare di essere in un posto terribile, quando l’altro posto era lì ad attendermi.

fintanto che certe cose nella mia vita non cambieranno, ho paura che continuerà ad essere così: andare nell’altro posto sarà magnifico, ma poche ore di piacere regaleranno mezze giornate di frustrazioni e arrabbiature. o forse ad un certo punto scoprirò nuovi equilibri, e riuscirò a portare qui qualcosa dall’altro posto, e anche le cose insopportabili saranno un filo migliori.

tu ci vai mai?

Posted in la tanaTagged opere in corso, scrittura1 Comment

coercizioni socialmente accettate

Posted on 2021/02/02 - 2021/03/17 by queerwolf

tw: coercizione, abuso

 

disclaimer: aver appena concluso Promising Young Woman potrebbe rendere questo post non molto lucido. mi sto ripetendo che è un blog, che è personale, non deve essere una prova costante di perfezione, vero? 🙁

 

quando si parla di una mancanza di cultura del consenso, di solito si tende a prendere come riferimento i risultati estremi: violenze e abusi sessuali e psicologici (i secondi, già meno).

ma ragioniamo di cultura e non di, che ne so, “attitudine del singolo allo stupro”, perché questi sono elementi pervasi del quotidiano, che si manifestano anche in cose piccole.

inutile dire che mettere la luce solo sugli estremi è comodo, perché così possiamo dirci: “ehi, ma io non faccio nulla di male, noiose femministe del cavolo!” (e c’è chi riesce a dirsi innocente anche dopo aver commesso uno stupro, per dire).

ma quella pervasività è un punto centrale su cui battere, perché va a creare la rete di convinzioni e sicurezze che fanno poi sentire il Gian di turno nel giusto quando compie qualcosa di più pesante.

da questo punto di vista, il modo in cui gestiamo il dialogo è emblematico.

 

prendiamo CisTizio.

 

conosco CisTizio su Tinder una settimana fa. lo avviso subito: guarda, non incontro nessuno da mesi, e non lo farò fino a quando non mi sarò fattә i vaccini.
lui mi dice che certo certo, va tutto bene. si chiacchiera un poco, niente di eccezionale, ma almeno è gentile (ormai le aspettative sono davvero basse quando mi avventuro sui frocial).
passa una settimana, si arriva a ieri sera.

CisTizio: “quando vieni a giocare con me?”
QueerWolf (sbuffo interiore su giocare): “dipende sempre da questa fottuta pandemia, e da quando potremo vaccinarci :D”
CT “io volevo invitarti già stasera”
QW “come ti dicevo, non posso”
CT “ma stiamo mascherati, distanziati, ti coccolo”
QW “Non mi vengono in mente modi per coccolarsi ad un metro di distanza XD” (cerchiamo di buttarla sul ridere)
CT “Va bene ho capito, mi scrivi se ne avrai voglia”

eccoci.
questo piccolo cambio di tono è un esempio di azione coercitiva. niente di epocale: non è che mi ha detto “se non vieni a casa mia ti brucio la casa”. no. ha cercato però di farmi sentire dalla parte del torto.

e tra l’altro è chiaro che CisTizio ha in mente una cosa ben precisa, ma non la dice.

CisTizio non vuole le coccole, vuole scopare, ma non si può dire ti va di scopare? perché è una frase da “cattivo ragazzo”, e perché è una cosa rischiosa sia per il proprio ego (pesa il rifiuto) sia per eventuali responsabilità.

perché fintanto che rimani nella zona dei grigi, dei sottintesi, nessuno potrà dirti che hai sbagliato qualcosa. potrai dire che è stato un equivoco, che scherzavi, etc etc. “su, QW, ti ho detto che voglio giocare, sei tu che pensi sempre a quella cosa!”
quando CisTizio vede che al sesso non ci arriva con le buone, punta su altro: cerca di attivare un mix di senso di colpa e buona educazione che mi facciano dire: “ehi, scusa, non volevo offenderti”.

credo sia una cosa così banale e comune da averla vista oramai migliaia di volte.
ma visto che non imparo mai nulla, la sua strategia funziona: temo subito di averlo fatto arrabbiare (trigger personale), e gli chiedo se sia così.

CT: “Al contrario: non vorrei passare per incosciente, cosa che non sono. Mi tampono ogni 15gg per lavoro, e ti ho invitato ma non ti metterei mai a rischio, non voglio passare per quello che non sono”.

qui CisTizio sa di essere ancora in gioco. ma avendo qualche decennio di esperienza alle spalle, alimenta ulteriormente il senso di colpa della persona dall’altra parte.
che non capisce un cavolo.

QW: “Ma che carino. Non ti preoccupare, non ti avevo giudicato, ma preferisco assecondare le mie paranoie”.
CT: “E allora fidati, e lasciati andare”

ok, qui anche io mi sono svegliatә, finalmente.
e mi sono reso conto di quello che stava accadendo.

CisTizio ha tirato fuori il lasciapassare universale, quello del sono un bravo ragazzo.

è lì, tra le righe: mi dice che ci rimane male perché si è sentito giudicato come una persona irresponsabile “ma faccio i tamponi ogni 15gg”.

mi dice di fidarmi, e di lasciarmi andare. che non c’è nulla da temere, no? giusto un bicchiere di succo e due chiacchiere tra adulti, cosa vuoi che sia QueerWolf?

vuoi davvero rifiutarmi, QueerWolf? perché i bravi ragazzi non si rifiutano, mai.

il mondo è pieno di cattivi ragazzi, di quelli che davvero ti fanno del male. e tu vuoi rifiutare uno come me?

vuoi passare dalla parte del torto, QueerWolf? perché solo le cattive ragazze rifiutano i bravi ragazzi.

lo vediamo in ogni film e serie televisiva, a partire da quel produttore di “bravoragazzismo tossico” di Ted Mosby .

 

i bravi ragazzi di questo tipo sono dei veri padroni della comunicazione coercitiva.

in fin dei conti sono stati bravi ragazzi quello che mi ha violentato, quello che ha provato a farlo, e quello che mi ha trascinato in una relazione tossica e abusiva.

nessuno di loro girava con una pistola e con la scritta “spaccoculetti” tatuata sul braccio.

nessuno di loro aveva la fedina penale sporca per qualcosa.

in compenso, hanno sempre saputo dire quanto esageravo, quanto la facevo grossa, e quante cose dimostrano che sono dei bravi ragazzi.

 

ma non è così difficile essere un bravo ragazzo, se proprio ci tieni. bastano due cose:

  1. dicci in modo chiaro cosa vuoi. non è un peccato voler scopare, mentre è scorretto cercare di arrivarci in modi che minano l’agency dell’altra persona.
  2. il rifiuto si accetta, bona.

anche se fa male: non è un giudizio sulla tua persona. è solo l’espressione di un bisogno.

si dice no perché non siamo sicurә della situazione o di noi stessә.

perché sappiamo che abbiamo mangiato pesante a pranzo e sarebbe un disastro.

perché il nostro cuore è pieno di casini e non vogliamo aggiungerne un altro.

perché venere è in opposizione e l’unica cosa libidinosa è la pizza ananas e cotto.

perché non ci va con te, punto, succede.

 

Nisi Shawl e Cynthia Ward in “Writing the other” hanno dovuto scrivere un intero capitolo iniziale per far capire a chi legge il loro saggio che, ehi, abbiamo tuttә pensieri razzisti e misogini perché la nostra cultura è razzista e misogina. quello che dipende da noi, è il decidere se fare pace con questa cosa e trovare un modo per cambiare, o se metterci sulla difensiva e iniziare a riempire i social di #notallmen #notallwhite #notallcishet

e siamo o siamo stati tutti in qualche modo degli abusatori. fa male, ma è lì. cazzo, la cultura romantica è piena di cose tremende come baci dati a donne incoscienti e storie dove se insisti e insisti alla fine la conquisti, perché lei non lo sa che è tua, ma tu sì, e la avrai (spoiler: le persone non si possiedono). il passo è dirci: ok, ora la cosa mi è chiara, cosa posso fare per cambiare?

 

ps: ovviamente, il bravo ragazzo, quando gli ho detto che no, non sarei uscito con lui ieri sera, mi ha ghostato. perché il bravo ragazzo è tale solo quando ha qualcosa da guadagnare.

 

Posted in la tanaTagged abuso sessuale, coercizione, sesso, stupro

un pack di videogame zinesters

Posted on 2021/01/30 - 2021/03/17 by queerwolf

da qualche settimana il pack ha deciso di tentare di sovvertire il capitalismo attraverso un nuovo medium: i videogiochi.
l’idea è nata più o meno per caso, quando lazyfox ha passato questo a queerwolf. c’è stata un po’ di resistenza iniziale (queerwolf ha pensato subito “linguaggio programmazione = non ce la farò mai”), ma quando il passo è stato fatto, è nato l’amore. e con l’amore, sono partiti i progetti.

abbiamo pensato di condividere con voi riflessioni e spunti in corso d’opera: Anna Anthropy nel suo rise of the videogame zinesters ci invita tuttu a essere autriciu di videogiochi casalinghi, di progetti fatti per raccontare le cose dal nostro punto di vista (invece di accrescere le grosse case produttrici). condividere con voi gioie e problemi di questo progetto può essere un modo per aiutarci a vicenda, o per spingere qualcunu che è ancora in dubbio a fare il passo.

partiamo da una cosa semplice: scegliere ink come linguaggio di codice ha significato determinare in modo specifico la natura del nostro progetto.
inkle ha creato nel corso degli anni giochi dove la narrazione è centrale: 80 days è un mix di testi e immagini. heaven’s vault ci permette qualche spostamento e interazione, ma la storia rimane sempre il motore centrale. il bellissimo pendragon unisce una logica simile a quella degli scacchi a supporto di una storia sempre varia.

andare in questa direzione era la cosa più ovvia per la natura stessa del creepy cute commie pack: se parte del pack è appassionata di scrittura, le discussioni su cosa voglia dire narrare, sulle sue conseguenze sul mondo, sul merito o meno di determinate narrazioni è pane quotidiano.
ink inoltre ha un’integrazione agile con unity, e questo permette a lazyfox di alzare la codina e mostrare tutte le sue capacità di programmazione e creazione: insomma, era la scelta più sensata.

ci sono altri programmi che permettono di creare videogiochi narrativi: il più famoso twine ad esempio, o inklewriter della stessa inkle, pensato per quellu scrittriciu che appena vedono una ~ iniziano a piangere (comprensibilmente). vorremmo tanto dire che la scelta di ink è stata frutto di selezioni, ragionamenti, discussioni ma no: è nato l’amore, ci siamo fossilizzatu lì e ciaone.

man mano condivideremo spunti e riflessioni più o meno corpose, ma ora non è il caso di trasformare questo post in una tesi. però, una prima cosa bella volevamo raccontarvela.

tra le varie cose su cui siamo concordi nel pack, c’è l’idea che nessun prodotto artistico sia un’esperienza solitaria. se prendiamo ad esempio artisticità considerate proprietà di unu solu autriciu come la pittura o la scrittura, non ci è difficile notare come questa idea di proprietà dell’opera sia totalmente aleatoria. ok, tua è la mano che ha dato la pennellata, tuo il ditino che ha messo il punto alla fine del romanzo. ma le cose che hai pensato, il come le hai realizzate, i temi su cui ti sei concentratu sono un’esperienza collettiva. sono condizionate da ciò che ti circonda, e dalle persone con cui dialoghi. quel volto o quel personaggio è nato da quel tratto che ami tanto della tua migliore amica e da quella parte di te che ora non c’è più. l’aver deciso di raccontare una storia sulla fatica invisibile del lavoro di cura è nata dopo aver parlato per ore con tua sorella, che non ne può più di fare da moglie, madre e badare a suo suocero mentre continua a lavorare.
ogni opera è un’opera collettiva.

da appassionatu di giochi di ruolo narrativi, questa idea si è rafforzata ogni volta che ci siamo sedutu al tavolo e abbiamo visto crescere le storie attraverso le interazioni tra le varie fantasie e creatività presenti.

e iniziare questo progetto è stata l’ennesima riconferma perché, accanto alla creazione concreta di quello che stiamo facendo, c’è un aspetto meta che è dato dal dialogo tra le nostre prospettive e le nostre competenze: la storia deve dare voce alle meccaniche, le meccaniche devono dare senso alla storia. è un aspetto imprescindibile, e questa cosa è magica. e, sempre per citare Anna Anthropy, è specifica della piccola produzione di videogiochi: nelle grandi case sei solo una parte dell’immenso ingranaggio di creazione, e la tua visione del mondo non viene tenuta in considerazione. non sei diversu da ermenegildu che passa otto ore a trasportare oggetti in giro per la città.
ci piace quindi credere che qualunque cosa uscirà da questa esperienza, sarà goffa, imperfetta ma viva.
e non vediamo l’ora di condividere i pasticciosi risultati con voi.

Posted in cuori di volpeTagged #videogame, #videogamezinesters

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