the quiet year (“l’anno tranquillo“) è un gioco di ruolo da tavolo della designer avery alder. in questa esperienza si interpretano delle fazioni o correnti di pensiero dentro una comunità che si è appena stabilita in un nuovo territorio dopo il collasso della civiltà come la conosciamo. la comunità ha un anno di tempo: in un momento qualunque dell’inverno imminente potrebbero arrivare i pastori della brina e far terminare la partita. settimana dopo settimana, a turno, si dovranno gestire dei nuovi eventi problematici o misteriosi, e in base ad essi si può scegliere se aprire una discussione (ma questo preclude ogni altra azione), o far partire un progetto per la comunità (ma in questo caso è espressamente vietato discutere di esso, anche se si può esprimere dissenso senza parlare prendendo un segnalino disprezzo).
il tempo che incalza obbliga a scegliere tra le due opzioni, e l’antitesi tra le due scelte fornisce un chiaro modello dell’autrice sul tema dell’azione politica nel mondo reale: c’è sempre da decidere se è più importante parlare dei problemi collettivamente o agire per risolverli, spesso non c’è il tempo per entrambi, e sono invece sempre necessari tutti e due. questa dinamica tocca una delle scelte difficili del lavoro politico di comunità e collettivi dall’organizzazione orizzontale (non a caso avery alder ha delle posizioni fortemente anarchiche), ma anche gli eventi che entrano in gioco obbligano a farne, di altro tipo. se arrivano persone malate in cerca di asilo possiamo rischiare la salute dell’intera comunità per un atto di solidarietà? quando nascono dei conflitti interni possiamo rischiare una scissione o ne potrebbe andare della sopravvivenza di tutti? di fronte ai pericoli esterni quali misure di sicurezza possono essere adottate senza cadere nel rischio di una sorveglianza permanente?
si può senz’altro definire “politica” un’esperienza ludica che lo sia esplicitamente (come comrades o sigmata), non si può però negare che questa dimensione sia centrale anche in un gioco come the quiet year, che parla dell’impossibilità di una perfezione al tempo stesso comunicativa, teorica e di prassi in una comunità che attraversa una situazione di crisi. il discorso più generale che si può fare è che le regole di un gioco rappresentano il funzionamento del suo mondo, e quindi anche la visione del mondo che l’autriciu presenta. se ad esempio in molti gdr tradizionali la crescita di un personaggio è lineare, indipendente dagli altri personaggi, prevedibile e determinata dai successi che ottengono, invece in cuori di mostro (altro gioco di avery alder) ogni avanzamento presenta anche l’introduzione di nuovo caos e problemi, le scelte devono essere guidate dalle situazioni vissute e non pianificate, e la crescita avviene con il fallimento. il primo sistema modella bene l’esperienza di vita di persone privilegiate, che possono contare su un sistema stabile e che le sostiene, il secondo è invece più rappresentativo della vita delle minoranze oppresse, e in questo senso anche una meccanica apparentemente così semplice, neutrale e “apolitica” come l’avanzamento di un personaggio diventa, sì, politica.
è facile a volte guardare certe realtà dall’esterno e trovare mille critiche sotto l’aspetto teorico o pratico. the quiet year ci fornisce la possibilità di metterci qualche ora nei panni dei gruppi che guidano queste comunità, vivere i compromessi e gli errori sulla nostra pelle e, chissà, forse portare qualcosa a casa per le nostre stesse esperienze comunitarie future.
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