Sulla Creazione dei Ne*ri
Quando, tempo addietro, gli dèi crearono la Terra
Sulla bella immagine di Giove l’Uomo venne plasmato alla nascita.
Le bestie minori vennero poi ideate;
Ma erano troppo distanti dall’umanità.
Per riempire il vuoto e collegare il resto all’Uomo,
Gli ospiti dell’Olimpo han congegnato un piano intelligente.
Una bestia hanno forgiato, di foggia semiumana,
Colmandola di vizi, e chiamando questa cosa un Ne*ro.
se in un gruppo di appassionatә del weird definisci H.P.Lovecraft razzista o misogino, arriva subito la polizia MBEB ad arrestarti: reato di incapacità di contestualizzazione, di “non capisci che era normale all’epoca?!?” e via di seguito. a volte arriva qualcuno che ti dice: “eh, ma la poesia (quella qui sopra) è del 1912! poi è cresciuto”. dimenticando che, e.g, per farci capire che il Wilbur Whateley de L’orrore di Dunwich (1928) era bruttissimo, Lovecraft ci dice che aveva delle bestiali grosse labbra e i capelli crespi e arruffati. il razzismo pervade la narrazione lovecraftiana, così come le posizioni transfobiche di Rowling emergono nel romanzo più recente. il pack si prenderà un paio di post per ragionare su cosa questo significhi, su come possiamo agire. e sul perché sia urgente fare qualcosa.
l’MBEB police obietta
facciamo le cose a ritroso, partendo dall’obiezione più frequente quando l’argomento viene messo sul tavolo. c’è chi parlerà di censura, chi di cancel culture. chi griderà dicendo che oramai non si può più dire niente, e chi che basta separare l’opera dall’autore.
l’ultimo è un mantra comune quando il discorso cade in ambiti “dotti”.
questa posizione si appoggia sulle idee di Roland Dexter Barthes. Roland Barthes è stato un critico letterario e semiologo francese di orientamento strutturalista (lettura di Wikipedia: achievement unlocked).
stanco di vedere una critica letteraria che analizzava le opere attraverso il contesto e la vita dell’autricә, Roland un giorno lancia il tavolo per aria e dichiara: una volta stampata, l’opera è dellә lettricә. un’opera esiste a prescindere dallә suә autricә, e tutto quello che verrà affermato in seguito da lәi varrà zero. “l’autricә è morta” sogghigna Roland, ululando alla luna.
quindi Barthes ci dice: davanti ad un’autricә imbarazzante si prende l’opera, si ignora ciò che non è nel testo, amichә come prima. il pack è un po’ meno convinto, e quindi eccoci prontә a borbottare contro l’amico francese. per farlo seguiremo le riflessioni di Lindsay Ellis.
per Lindsay, ciò che dice Roland funziona in una campana di vetro: ricevo un testo nudo, privo di copertina, sinossi, pubblicità. non ho idea di chi sia l’autricә, delle opinioni del resto del mondo su questo romanzo. allora forse saprò non metterci altri pregiudizi, solo la mia fantasia.
il quotidiano in cui viviamo però è ben diverso.
l’autricә è vivә e molto attivә: su Facebook ci racconta cosa mangia, su Youtube cosa legge, e usa Twitter per parlare di politica.
l’autricә va in televisione e ai festival, presenzierà alla prima del suo film, racconterà i nuovi elementi del videogioco o della serie televisiva a cui ha collaborato.
il paratesto è pervasivo, e influenza il modo in cui ci approcciamo al testo. moltә autricә creano un vero e proprio personal branding, e questo fa sì che quando ci approcciamo a un testo di Baricco, e.g., troveremo roba spocchiosa e fastidiosa troveremo cose fortemente sovrapponibili al modo in cui fa critica, alle cose che scrive sui giornali, che dice durante i festival.
questo accade persino quando non sappiamo nulla dell’autricә: quante persone hanno costruito tesi complessissime sull’identità di Elena Ferrante, cercando di dedurla da uno specifico riferimento geografico o linguistico nei suoi romanzi?
da quando è uscito l’ultimo romanzo di T.E.Rfowling, le recensioni sembrano lanciate principalmente nel comprendere se il serial killer sia o meno una riconferma delle recenti posizioni dell’autrice (spoiler: sì, linko due video in merito).
autricә e testo si influenzano a vicenda, amplificando i rispettivi valori. Roland Dexter Barthes pulisce un coltello con cui ha solo ferito l’autricә, ma questә è vivә e felice.
bias
non c’è solo il problema del paratesto.
una lettura capace di dividere opera e autricә richiede unә lettricә capace di riconoscere e affrontare non solo i bias dellә scrittricә ma anche i propri. ed è un lavoro complesso, estenuante, che crea un disagio spesso difficile da gestire.
tuttә noi cresciamo in una cultura fortemente misogina, razzista, aggressiva verso le diversità. questi messaggi vengono reiterati ogni giorno attraverso la politica, i mezzi di informazione, di intrattenimento, le opere artistiche. le battute abiliste e omofobe sono così normali che se qualcunә ci fa notare che ne abbiamo detta una, ci mettiamo sulla difensiva.
questo mettersi sulla difesa è comprensibile, perché chi ci fa notare i nostri bias prima o poi solleciterà il senso di colpa: per permetterci di sentirci delle “brave persone”, le maglie sociali si sono fatte così larghe che ci aspettiamo di poterci ritenere, e.g. , non razzistә solo perché non usiamo la parola con la n, ma poi ci offendiamo quando la nostra vicina afrodiscendente ci dice infastidita che “No, i miei non sono africani ma etiopi, e io sono di Casalpusterlengo, smettila di chiedermi da dove vengo”.
le persone principali che possono mettere a nudo i nostri bias sono quelle che fanno parte di quella minoranza marginalizzata. ma quando queste persone mettono l’accento sull’elemento problematico, spesso vengono attaccate e definite immature, con un eccesso di attenzione per le proprie emozioni. oppure prive di basi teoriche. responsabili di distrarci dalle lotteveramenteimportanti™.
perché voler decostruire un sistema che ti uccide solo perché sei fr0cia, effettivamente, non è una lotta importante.*
e quindi, al di là della rabbia personale: non mettiamo in discussione che tu, amicә, sappia e voglia leggere l’opera in modo davvero neutrale. e che davanti al disagio che provi quando qualcunә ti farà notare un tuo pregiudizio mentale abbraccerai quel disagio, lo decostruirai, lo supererai. ma la maggior parte delle volte, quando ci ritroviamo davanti alla frase “separiamo l’opera dall’autore”, l’impressione è che sia solo un modo intellettuale per dire “il mio godimento dell’opera viene prima della vostra sicurezza”.
“basta moralizzatricә!”
collateralmente un’altra obiezione al discorso è legata al terrore che l’arte venga “moralizzata”, spesso evocando anche quel fenomeno che viene chiamato cancel culture.
brevemente, si intende con Cultura della cancellazione la rimozione dalla vita pubblica di persone o aziende che agiscono contro i gruppi marginalizzati. nella mente di chi è terrorizzata dalla Cancel Culture, i gruppi marginalizzati sono entità potenti (es: la famigerata Lobby Gay, le nazifemministe) che con un po’ di casino su Twitter possono far diventare Allen o Polanski indigenti. nei fatti, non sembra essere questa minaccia così concreta. ad esempio, l’Autrice Imbarazzante per eccellenza di quest’ultimo anno e rotti, J.K. Rowling, macina ancora soldi senza problemi, ha film in produzione, un altro videogioco, e sembra stia per lavorare su una serie televisiva legata ad Harry Potter.
di contro, come ha detto dichiarato in un tweet la politica Alexadria Ocasio-Cortez, non ci lamentiamo delle voci che sono da sempre cancellate: quelle di chi fa un certo tipo di politica, così come quelle delle minoranze (spoiler: provate a cercare quanti romanzi di autrici trans esistono in italiano).
in merito alla “moralizzazione” dell’arte invece, pensiamo sfugga un punto fondamentale: ogni opera d’arte è già di per sé portatrice di una morale, perché fa riferimento ad un insieme di norme e valori, e li considera come dati di fatto.
nelle narrazioni andiamo a definire sempre ciò che si oppone alla norma e mai la norma stessa, ritenendo la norma portatrice di una morale in modo implicito (mentre per l’eccezione, la prospettiva va sempre bene o male specificata): non dico che Anna e Marco vivono una relazione monogama, ma specifico che Anna, Marco e Mattia sono in una troppia. non dico che Anna è una buona madre perché si lascia morire di fame pur di salvare i suoi figli, ma giudico Lucrezia che ha preferito dare in affido il figlio che non fare una vita di merda. gli scienziati di Lovecraft sono sempre nel giusto, perché la scienza è nell’immaginario lovecraftiano intrinsecamente morale (tranne se sei Herbert West, ma allora lì viene specificato). Hermione lotta per la liberazione degli elfi, ma non per quella di Molly Weasley, perché nel mondo di Rowling (come nel nostro) è ovvio che una madre sia una schiava, e la magia serve non per liberarla da questo giogo, ma per ottimizzare il suo lavoro.
quando i gruppi marginalizzati mettono l’accento su determinate cose, non chiedono una moralizzazione: chiedono un cambio di prospettiva sulla morale già esistente in quell’opera e, quindi, del mondo che ci circonda.
politica e morale sono qui sovrapponibili per gli atteggiamenti presenti nel discorso comune: pensiamo alle frotte di giocatori che dicono “basta politica nei videogiochi!” quando vengono introdotti personaggi queer o razzializzati, senza rendersi conto che anche l’assenza di questi personaggi è già una scelta politica. allo stesso modo, una storia che descrive il cattivo come “con la bocca larga e i capelli ricci e crespi” è una storia moralizzata, e se chiedi di togliere la moralizzazione dall’arte, vuol solo dire che non stai vedendo quella già presente, e le conseguenze sulla vita delle altre persone.
ed è questa la risposta alla domanda “Perché bisogna fare qualcosa per le autrici imbarazzanti?”: perché condizionano in negativo le nostre vite, perché collaborano a mantenere narrazioni tossiche sulle comunità marginalizzate. perché collaborano all’oppressione.
perché le conseguenze sulla realtà ci sono. è una cosa che abbiamo già evidenziato altrove: le narrazioni creano il reale, e per questo ne siamo responsabili.
scrivere vuol dire agire.
torniamo a Rowling: un senatore repubblicano ha usato le sue parole per richiedere di non estendere alle persone LGBTQIA* la legge statunitense contro le discriminazioni. le parole di Rowling e la sua posizione di prestigio sono servite per appoggiare un’azione politica transfobica.
quando si propongono azioni (come quelle del prossimo post) in risposta a determinate posizioni, e quelle azioni vengono criticate per il semplice fatto che esistano, si sta sostanzialmente chiedendo a chi è vittima di certe narrazioni di cancellarsi.
in un assurdo gioco dei ribaltamenti, chi chiede di non moralizzare le arti chiede che la parte offesa venga silenziata, cancellata, e preserva per chi ha già potere il diritto di dire quello che vuole, senza conseguenze.
noi crediamo sia invece giusto smetterla di mettere una sola prospettiva al centro dell’universo, e imparare a ritenere valide e importanti le esperienze di chi vive in vari modi ai margini della norma, restando in ascolto.
e riteniamo sia giusto proporre una cultura della conseguenza, una cultura in cui le azioni aggressive contro chi è più esposto abbiano dei risultati.
il prossimo post parlerà (in modo più caciarone) di come creare queste conseguenze.
il pack vi abbraccia.
* tra l’altro, così si chiede a chi fa parte di una comunità marginalizzata di trovare energie per creare il proprio benessere (che il mondo fuori ostacola in tutti i modi), per chiedere al mondo di riconoscere la sua esistenza, e per portare avanti un confronto con persone a cui spesso non importa un granché della faccenda, che si sono già attestate su posizioni comode perché per loro, alla fin fine tutto questo non rimane che un gioco intellettuale che non comporta alcun rischio. e se, sotto tutta questa pressione, la persona in questione sbarella un attimo, finisce subito in un rogo virtuale.
ok, ora l’immagine degli MBEB che si moltiplicano così facilmente mi toglierà il sonno per sempre, grazie XD potrebbe essere la base per un remake di “Panic Room”: “Anna era una ragazza felice: aveva due gatti, un sacco di amiche, l’UBI. Poi un giorno un MBEB sfiora la sua pianta da appartamento, altri MBEB si moltiplicano a ruota e Anna per sopravvivere deve rinchiudersi con il suo micio Goffredo nella panic room. Fuori, un grido costante: “Not al meeeeeen!!”. Riuscirà Anna a sopravvivere?”
«noi crediamo sia invece giusto smetterla di mettere una sola prospettiva al centro dell’universo, e imparare a ritenere valide e importanti le esperienze di chi vive in vari modi ai margini della norma, restando in ascolto.»
Amen! Esattamente così dovrebbe essere. Però da quando, millenni fa, l’essere umano (maschio cis) inventò una divinità a propria immagine e somiglianza per poi, un istante dopo, affermare/scrivere d’essere stato lui, in realtà, creato da quella medesima divinità, non ha più smesso, mi sa, di (cercare di) plasmare anche tutto il restante mondo, sempre a propria immagine e somiglianza.
Chiedi a un MBEB se può tenerti un attimo la penna (o la giacca, la borsa, qualsiasi altra cosa) e quando ti girerai di nuovo troverai non più uno ma due esemplari identici dello stesso individuo MBEB! Paüra, eh?!
P.S.
Su “lettura di Wikipedia: achievement unlocked” e “T.E.Rfowling” potrei aver riso più del dovuto.