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Categoria: interiora

il corpo dell’altra, o il problema di “Ohio” di Stephen Markley

Posted on 2021/03/29 by queerwolf

per la nostra rubrica interiora, oggi squartiamo uno dei romanzi più letti dello scorso anno.

Ohio è il romanzo di debutto di Stephen Markley, che gli ha garantito un paragone diretto con Jonathan Franzen. dato che il pack non si occupa di recensioni ma di rappresentazione, vi linkiamo qui un’analisi di Luca Briasco su il manifesto.
e visto che è facile brontolare, ma è importante anche proporre delle soluzioni, divideremo il post tra ringhiatine e possibilità. e, cosa importante: l’articolo è privo di spoiler*.

 

grassa, vecchia e brutta
una breverrima premessa. Ohio è un romanzo diviso in quattro parti più una. ogni parte è narrata dalla prospettiva di unә dellә protagonistә. quando ho incontrato il primo personaggio (Bill Ashcraft) ho concesso all’autore il beneficio del dubbio: protagonistә diversә dovrebbero portare prospettive diverse, e speravo che la parte problematica fosse specifica del personaggio.
invece è un tema che lә accomuna tuttә: il modo in cui guardano il corpo delle donne è tremendo.
non è l’unica cosa spiacevole del romanzo: abbiamo pelli caffelatte o caffè e panna; un certo classismo (i personaggi maschili esplicitamente brutti o gretti sono anche poveri) che cozza coi sermoni che piacciono all’autore; il paragonare il dolore e la difficoltà per l’accettazione della propria omosessualità e l’accettazione da parte di un genitore. il caricare su una minoranza il dovere di farsi accogliere dalle altre persone. una delle protagoniste, Stacey Moore, è al limite del tokenism lesbico.
lo sguardo verso le donne però, soprattutto se non protagoniste, è trasversalmente funzionale, finalizzato a valutarle come oggetti esistenti solo per la propria soddisfazione erotica o non degne d’esistere.
due personaggә molto diversә come Bill Ashcraft (attivista di sinistra disilluso con problemi di droga) e Stacey Moore (scrittrice lesbica ambientalista proveniente da una famiglia religiosa) hanno la stessa prospettiva. quando parlano di una donna, per prima cosa dissezionano il suo corpo. la sua esistenza è degna solo se è bella (o figa o “fighetta affascinante” [pg.141]), o “bella nonostante”, dove di solito è “nonostante il peso” (es: pg.206 “Un po’ sovrappeso ma sempre bella”) o “nonostante l’età” (es: pg. 213: “Hilde aveva sui quarantacinque anni, e le borse sotto gli occhi a conferma della sua età, ma era ancora uno schianto”). la bellezza di solito è data dalle tette, possibilmente grosse (es: pg. 249), dai fianchi o dal culo, ma principalmente “bella” è sufficiente a riassumere tutto ciò che conta in una donna. se il numero di aggettivi per descrivere l’aspetto è misero, si riducono a tre quando si parla di personalità. tutto si può riassumere, almeno per le donne non protagoniste, con intelligente, affascinante e un isterica che viene lasciato sempre tra le righe (es: pg.123/124).
il tempo ha sempre un effetto fisico sul corpo delle donne: “appesantita” deve essere la parola preferita di Markley (es: pg.186, pg.200). una donna invecchia e quindi diventa brutta e diventa brutta principalmente perché ingrassata. è così ovvio che se lo sguardo è pieno di affetto, allora bisogna rimarcare l’assoluzione della vittima (“tutta la ciccia […] non la rendeva meno bella ma più umana”). sono considerazioni che non vediamo praticamente mai sul corpo degli uomini, e che al massimo sono portate con indulgenza. l’unica eccezione è quando l’uomo deve essere uno dei “cattivi”. a questo punto “era piuttosto brutto […],pieno di brufoli, sovrappeso, sudava come un animale ed era povero” (pg.220). perché ovviamente povertà e peso sono di nuovo delle colpe. o il big cattivo della storia ha “naso largo, le labbra grosse, burrose [nb: ti ricordi come Lovecraft descriveva Wilbur?]. In quel momento erano [tratti] sodi e fanciulleschi ma in pochi anni sarebbero diventati mongoloidi” (pg.136) (subito dopo uno dei buoni invece “aveva un’aria brutale da eroe”).

Markley è stato criticato ampiamente per i pipponi morali alla Franzen che distribuisce lungo il testo. se ci fosse stato un intento di critica contro misoginia o body shaming, a un certo punto avremmo trovato dieci pagine di sermone. invece né lui né ә editor né tutte le persone che hanno collaborato al testo si sono poste il problema. bene.

 

non si può più dire niente
credo non servano altre spiegazioni per giustificare la rabbia provata leggendo Ohio. è considerato uno dei romanzi migliori dell’anno passato, e Markley è figlio di quell’industria della letteratura che sono le accademie di scrittura americane (bestemmie sottaciute).
credo sia però importante mostrare che ci possono essere altri modi di narrare. nelle conversazioni attorno al tema della rappresentazione arriva sempre la finta domanda: “come faccio se voglio creare unә personaggiә che è misogino, razzista etc? così non si può più dire niente”.
quando scriviamo, due voci scorrono nella stessa penna/tastiera. una è quella che accompagna la prospettiva dellә personaggiә, l’altra è la voce dell’autricә. a seconda del nostro stile la seconda può essere o meno trasparente, ma se sappiamo tenere conto della divisione tra le due, si può fare davvero molto.
prendiamo per esempio Bill Ashcraft. una delle cose che ci viene detta (non da Bill ma solo successivamente da Stacey) è che Bill è scuro di pelle**. ora, mettiamo il caso che tu sei Markley e il tuo intento è mostrare un Ashcraft misogino. non servono grandi cambiamenti nel testo, ma giusto una buona consapevolezza del materiale con cui stai lavorando. basta letteralmente una frase.
le persone scure di pelle (non so se sia la descrizione originale nel testo o un problema di traduzione, e lascia aperte molte possibilità) conoscono l’oggettificazione sessuale del proprio corpo. basta una ricerca su Pornhub per vedere i loro corpi trasformati in categorie: nerә, latinә, indianә etc etc. tu che sei Markley, e sai questa cosa, dopo l’ennesima lista di culi e tette e fighe di Ashcraft puoi farlo lamentare “perché è stanco di quelle tipe che lo raccattano al bar dicendogli “Voi neri/latini/indiani siete così focosi!” (frase di merda, lo so). Ashcraft sente il peso di diventare un oggetto sessuale e non una persona ma non si rende nemmeno conto di fare la stessa cosa con ogni donna, e la tua voce autoriale ci ha fatto capire che sei criticә, che non ti riconosci nella prospettiva misogina di Ashcraft.
un periodo, un solo periodo in 130 pagine dedicate a lui, non un grande stravolgimento.
può esserci l’amica che gli dice “ti definisci progressista ma poi ci tratti tutte come tette con le gambe”. può esserci un momento di realizzazione ricacciato subito nei recessi della mente. una frase di sottofondo in televisione. un adesivo sulla macchina di un’attivistә. un vecchio ricordo. il verso di una canzone. può esserci lo stesso biasimo che viene scaricato su una donna che è ingrassata, invecchiata, o sul tizio che è cattivo e quindi coi brufoli e la ciccia.
quando rompo le scatole dicendo che ogni narrazione è responsabile della costruzione degli immaginari collettivi e blah blah blah intendo anche questo: credo sia fondamentale mostrare personaggә con prospettive problematiche, ma è altrettanto centrale fare capire che lә stiamo problematizzando. non è vero che non si può dire niente: si può dire tutto, ma il dovere di chi scrive è sapere come rendere problematico ciò che è problematico. altrimenti l’unica cosa che stiamo chiedendo è di non avere responsabilità.

 

* anche per questo non viene toccato il finale, che però raggiunge livelli di problematicità epocali. il pack si riserverà di fare un intervento ad hoc in futuro.
** spoilerozzo. qui offro all’autore il beneficio del dubbio, non avendo recuperato l’effettivo passaggio in inglese e non sapendo quindi se sia un problema di traduzione. ma scopriamo il colore della pelle di Ashcraft diverse pagine dopo una fuga dalla polizia e mai, mai vediamo la prospettiva di una persona di pelle scura che fugge dalla polizia americana che è famosa per tante cose, ma di certo non per la gentilezza con cui tratta le persone BIPOC (neri, indigeni e persone di colore). Ashcraft fugge quasi con leggerezza, con le stesse reazioni e preoccupazioni dello spacciatore bianco con cui sta scappando.

Posted in interioraTagged cattiva scrittura, corpi, letteratura, narrazione

interiora: Antebellum

Posted on 2021/03/04 - 2021/03/17 by queerwolf

[con questo post introdurremo una rubrica (assolutamente randomica) che commenterà film, serie, videogiochi, romanzi e la loro capacità di rappresentare le comunità marginalizzate. se hai domande, suggerimenti etc, sei sempre ә benvenutә. salvo dove diversamente indicato, i commenti saranno privi di spoiler. la primavera sta assopendo la nostra fantasia: si accettano suggerimenti per il titolo.]

 

Antebellum è un thriller del 2020 che cerca di seguire la linea lanciata da Jordan Peele con Scappa – Get Out e Us, ovvero usare il weird per riflettere su cosa sia il razzismo, su quale sia il nostro rapporto con l’altro, le nostre responsabilità.

qui c’è un’ottima critica al modo in cui le persone nere vengono rappresentate nel film. in generale, Antebellum ha messo in campo due tipi diversi di marionette vuote, prive di spessore, tridimensionalità. ci sono le persone bianche cattive in modo randomico, crudeli in quanto crudeli, punto. le persone nere non sono nemmeno “buone” ma solo vittime, affidando la narrazione a un altro tropo problematico, quello della persona (spesso donna) nera sofferente.

potrebbe sorprendervi, ma lo sguardo pietista fa danni tanto questo quello carico di odio. ci torneremo in futuro.

 

da un’ottica più ampia, Antebellum si porta dietro un problema comune a molte storie sviluppate da una prospettiva da salvatricә biancә/cis/etero, ed è l’attribuire al soggetto cattivo di turno dei comportamenti estremi.

 

partiamo da un presupposto: personalmente ritengo ogni narrazione politica, ma alcune di queste si propongono come tali in modo innegabile. di solito prendono quello che è il tema caldo del periodo e ci dicono “le cose stanno così, sveglia!”.

quando l’idea è quella di fare una storia così esplicitamente politica, possiamo immaginare che alla base ci siano degli obiettivi: ad esempio di denuncia di una situazione ritenuta inaccettabile, o una richiesta di cambiare lo status quo in favore di qualcosa di più rispettoso e inclusivo. in fondo ogni politica deve promuovere un certo modo di fare, e se un medium artistico vuole invitarci all’azione, cercherà di dirci anche chi deve agire, per chi e per come. film come Antebellum sono però controproducenti, e per molti versi fanno il gioco dell’oppressorә, perché ci deresponsabilizzano.

 

quando parliamo di oppressione sistemica, che sia per questioni razziali, di genere, di identità di genere etc, sistemica è la parola chiave. vuol dire che tutto quello che avvalla l’oppressione striscia nel quotidiano, si insinua nei gesti che facciamo anche noi, perché a nostra volta collaboriamo al mantenimento di quell’oppressione. lo facciamo quando nostra madre fuori dal supermercato si lamenta di “quel n* che chiede i soldi” e non diciamo niente. quando al bar il nostro amico indica “guarda quella t*, le darei una botta in testa e me la farei nel cesso” e noi ridiamo. quando nostro fratello per offenderci urla che “guidi a Mario Kart come un h*” e noi gli diamo un pugno, offesә. quando in palestra l’allenatore bisbiglia “quella sembra un tra*” e facciamo finta di vomitare.

quando perdoniamo ai politici determinate uscite “perché i problemi veri sono altri”. quando attacchiamo chi cerca rispetto e urliamo alla censura, alla cancel culture. quando ci accorgiamo del razzista/sessista/omolesbobitransfobico dentro di noi, e ci giriamo dall’altra parte.

 

Antebellum ci aiuta a girarci dall’altra parte. ci dice “nel mondo c’è un problema di razzismo, e il razzismo è questo estremo qui, questa cosa assurda. tu non c’entri niente, tu sei innocente”. altri film e serie ci dicono che “il maschio cattivo” è lo stupratore (seriale), che l’omofobo è quello che mena, che l’abilista è quello che mena (di nuovo, perché esiste solo la violenza fisica, mai psicologica, come ci ricorda di nuovo Antebellum).

 

se una storia riconosce la sua politicità, non deve farci stare comodi. se prendiamo ad esempio un altro film esplicitamente critico come Promising Young Woman, qui ogni personaggio, ogni comparsa ci dice dal primissimo minuto che tuttә siamo parte di un sistema sessista che copre e assolve costantemente sé stesso (e in modo quasi metacinematografico, è successo a Carey Mulligan proprio per Promising Young Woman). ciò che è stato fatto a Nina è stato possibile anche grazie ai tizi che fischiano per strada a Cassie, grazie alle scelte fatte dai “bravi ragazzi”.

 

in soldoni: possono esserci due modi per narrare l’esperienza del margine. possiamo fare storie che in superficie ci fanno passare per dellә alleatә, ma che in realtà servono ad assolverci. oppure possiamo ascoltare le voci di chi fa parte di quel margine, i loro bisogni, le loro speranze. riconoscere umilmente le nostre responsabilità, e aiutare altrә come noi ad uscirne.

 

voto per Antebellum: 5/5 MBEB

 

 

Posted in interioraTagged critica, film, razzializzazione, scrittura

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