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creepy cute commie pack

  • what the pack?!?

Categoria: la tana

l’altro posto

Posted on 2021/02/12 - 2021/03/17 by queerwolf

in questi giorni ho ripreso a scrivere con costanza.

gennaio è stato un mese di passaggio. sentivo così tanto il bisogno di mantenere il periodo creativo nato sotto le feste, che alla fine ho fatto la cosa che purtroppo mi viene meglio: trasformare le cose che amo in un lavoro. anche se sua santità N.K. Jemisin continua a ricordarci che chi scrive deve liberarsi dall’idea capitalista della produttività, mi rendo conto che molto spesso penso e spero che quella nuova storia sia la cosa che in qualche strano modo mi salverà la vita, almeno da un lavoro che odio. questo cozza con la consapevolezza di non essere Virginia Woolf e delle difficoltà di vivere di scrittura ma, ehi, chi sono io per negare la contraddittorietà dell’essere umano?

pian piano però forse sto trovando un certo ritmo ed equilibrio, e la creatività è riesplosa. e ieri, per la prima volta da davvero molto tempo, sono andato nell’altro posto.

sicuramente ci sono nomi più accattivanti, però so che ci vanno un sacco di persone che fanno arte, che scrivono.

è quel luogo in cui ti ritrovi quando perdi i confini con chi sei, con le cose che ti circondano e le parole ti dicono cosa vogliono, cosa si aspettano da te. è un luogo dove non puoi fare tutto, ma dove puoi essere tutto. è un bel posto, quando non ti piace molto ciò che sei nel mondo reale.

 

ricordo che la prima volta che ci sono finitә fu quando scrissi il mio primo racconto lungo. un momento era l’ora di pranzo, il momento dopo fuori era buio, la mia coinquilina urlava per entrare nella camera che condividevamo e io avevo accanto ennemila pagine piuttosto deliranti.

fino a qualche anno fa ci entravo con facilità, a volte anche cantando e ballando in camera, o mettendo le cuffie e camminando per strada. la musica mi ha sempre facilitato il viaggio.

ricordo di quando vivevo nel mio bosco con un ex, e le passeggiate diventavano viaggi terribili. quei due anni e rotti sono stati tremendi, ma all’epoca non ne ero consapevole. le cose che creavo cercavano in tutti i modi di farmelo notare, così come gli incubi. e la quantità di alcool che ingurgitavo. lui poi era infastidito dall’altro posto, e da come tornavo. perché anche se è costoso energeticamente, ci stavo bene. e quando stai bene da qualche parte e poi sei obbligatә a tornare alla realtà, non sempre sei felice. diventano distante, triste, a volte rabbioso, a volte arreso. ogni volta che tornavo dall’altro posto ci ritrovavamo a litigare.

ho finito per smettere di scrivere, bevendo ancora di più. quando la relazione è finita ho scritto il mio primo (e ad ora unico) romanzo, ma è stato una cosa altra. è venuto dalla testa e dalle frustrazioni degli anni precedenti e dalla convivenza forzata dopo la rottura. è stata una scrittura di fuga, ma non mi ha portato in nessun luogo.

ed è stato così per l’anno seguente: un sacco di scrittura, un sacco di alcool, troppa testa. testa e altro posto sono antitetici, perché l’altro posto è opposto al razionale, pur avendo un sacco di sue regole e leggi.

 

quando ho smesso di bere, è rimasta solo la razionalità. ho pensato sempre più spesso alle cose giuste da scrivere, quelle politicamente giuste, quelle che rappresentano le voci che non hanno voce e le cose in cui credo. ma anche questo è stato molto cerebrale. non credo siano venute cose brutte, ma sono state esageratamente faticose. sono state scritte per compiacere, non per star bene.

 

ritrovarmi ieri nell’altro posto è stato straniante, ma bello. è come quando fai sesso dopo un sacco di tempo con qualcuno di cui ti fidi, e ti spaventa quel senso di abbandono e perdita di controllo. devi decidere se lasciarti andare, o mantenere le redini. la soluzione sicura è spesso la peggiore.

ero in un posto dove scrivevo per me, di cose che amavo ma senza pensare al modo per far contentә tuttә. le parole si sono inseguite, i personaggi hanno fatto le loro decisioni, i luoghi sono comparsi da soli. è stato un tributo alla vita. mi ero dimenticato di quanto fosse reale l‘altro posto: sono tornato con la tachicardia, i muscoli tesi, le mascelle serrate. ho vissuto sul mio corpo tutte le emozioni delle scene che avevo scritto. ma al ritorno mi attendeva il lavoro, e sono stato male per buona parte del pomeriggio, completamente incapace di accettare di essere in un posto terribile, quando l’altro posto era lì ad attendermi.

fintanto che certe cose nella mia vita non cambieranno, ho paura che continuerà ad essere così: andare nell’altro posto sarà magnifico, ma poche ore di piacere regaleranno mezze giornate di frustrazioni e arrabbiature. o forse ad un certo punto scoprirò nuovi equilibri, e riuscirò a portare qui qualcosa dall’altro posto, e anche le cose insopportabili saranno un filo migliori.

tu ci vai mai?

Posted in la tanaTagged opere in corso, scrittura1 Comment

coercizioni socialmente accettate

Posted on 2021/02/02 - 2021/03/17 by queerwolf

tw: coercizione, abuso

 

disclaimer: aver appena concluso Promising Young Woman potrebbe rendere questo post non molto lucido. mi sto ripetendo che è un blog, che è personale, non deve essere una prova costante di perfezione, vero? 🙁

 

quando si parla di una mancanza di cultura del consenso, di solito si tende a prendere come riferimento i risultati estremi: violenze e abusi sessuali e psicologici (i secondi, già meno).

ma ragioniamo di cultura e non di, che ne so, “attitudine del singolo allo stupro”, perché questi sono elementi pervasi del quotidiano, che si manifestano anche in cose piccole.

inutile dire che mettere la luce solo sugli estremi è comodo, perché così possiamo dirci: “ehi, ma io non faccio nulla di male, noiose femministe del cavolo!” (e c’è chi riesce a dirsi innocente anche dopo aver commesso uno stupro, per dire).

ma quella pervasività è un punto centrale su cui battere, perché va a creare la rete di convinzioni e sicurezze che fanno poi sentire il Gian di turno nel giusto quando compie qualcosa di più pesante.

da questo punto di vista, il modo in cui gestiamo il dialogo è emblematico.

 

prendiamo CisTizio.

 

conosco CisTizio su Tinder una settimana fa. lo avviso subito: guarda, non incontro nessuno da mesi, e non lo farò fino a quando non mi sarò fattә i vaccini.
lui mi dice che certo certo, va tutto bene. si chiacchiera un poco, niente di eccezionale, ma almeno è gentile (ormai le aspettative sono davvero basse quando mi avventuro sui frocial).
passa una settimana, si arriva a ieri sera.

CisTizio: “quando vieni a giocare con me?”
QueerWolf (sbuffo interiore su giocare): “dipende sempre da questa fottuta pandemia, e da quando potremo vaccinarci :D”
CT “io volevo invitarti già stasera”
QW “come ti dicevo, non posso”
CT “ma stiamo mascherati, distanziati, ti coccolo”
QW “Non mi vengono in mente modi per coccolarsi ad un metro di distanza XD” (cerchiamo di buttarla sul ridere)
CT “Va bene ho capito, mi scrivi se ne avrai voglia”

eccoci.
questo piccolo cambio di tono è un esempio di azione coercitiva. niente di epocale: non è che mi ha detto “se non vieni a casa mia ti brucio la casa”. no. ha cercato però di farmi sentire dalla parte del torto.

e tra l’altro è chiaro che CisTizio ha in mente una cosa ben precisa, ma non la dice.

CisTizio non vuole le coccole, vuole scopare, ma non si può dire ti va di scopare? perché è una frase da “cattivo ragazzo”, e perché è una cosa rischiosa sia per il proprio ego (pesa il rifiuto) sia per eventuali responsabilità.

perché fintanto che rimani nella zona dei grigi, dei sottintesi, nessuno potrà dirti che hai sbagliato qualcosa. potrai dire che è stato un equivoco, che scherzavi, etc etc. “su, QW, ti ho detto che voglio giocare, sei tu che pensi sempre a quella cosa!”
quando CisTizio vede che al sesso non ci arriva con le buone, punta su altro: cerca di attivare un mix di senso di colpa e buona educazione che mi facciano dire: “ehi, scusa, non volevo offenderti”.

credo sia una cosa così banale e comune da averla vista oramai migliaia di volte.
ma visto che non imparo mai nulla, la sua strategia funziona: temo subito di averlo fatto arrabbiare (trigger personale), e gli chiedo se sia così.

CT: “Al contrario: non vorrei passare per incosciente, cosa che non sono. Mi tampono ogni 15gg per lavoro, e ti ho invitato ma non ti metterei mai a rischio, non voglio passare per quello che non sono”.

qui CisTizio sa di essere ancora in gioco. ma avendo qualche decennio di esperienza alle spalle, alimenta ulteriormente il senso di colpa della persona dall’altra parte.
che non capisce un cavolo.

QW: “Ma che carino. Non ti preoccupare, non ti avevo giudicato, ma preferisco assecondare le mie paranoie”.
CT: “E allora fidati, e lasciati andare”

ok, qui anche io mi sono svegliatә, finalmente.
e mi sono reso conto di quello che stava accadendo.

CisTizio ha tirato fuori il lasciapassare universale, quello del sono un bravo ragazzo.

è lì, tra le righe: mi dice che ci rimane male perché si è sentito giudicato come una persona irresponsabile “ma faccio i tamponi ogni 15gg”.

mi dice di fidarmi, e di lasciarmi andare. che non c’è nulla da temere, no? giusto un bicchiere di succo e due chiacchiere tra adulti, cosa vuoi che sia QueerWolf?

vuoi davvero rifiutarmi, QueerWolf? perché i bravi ragazzi non si rifiutano, mai.

il mondo è pieno di cattivi ragazzi, di quelli che davvero ti fanno del male. e tu vuoi rifiutare uno come me?

vuoi passare dalla parte del torto, QueerWolf? perché solo le cattive ragazze rifiutano i bravi ragazzi.

lo vediamo in ogni film e serie televisiva, a partire da quel produttore di “bravoragazzismo tossico” di Ted Mosby .

 

i bravi ragazzi di questo tipo sono dei veri padroni della comunicazione coercitiva.

in fin dei conti sono stati bravi ragazzi quello che mi ha violentato, quello che ha provato a farlo, e quello che mi ha trascinato in una relazione tossica e abusiva.

nessuno di loro girava con una pistola e con la scritta “spaccoculetti” tatuata sul braccio.

nessuno di loro aveva la fedina penale sporca per qualcosa.

in compenso, hanno sempre saputo dire quanto esageravo, quanto la facevo grossa, e quante cose dimostrano che sono dei bravi ragazzi.

 

ma non è così difficile essere un bravo ragazzo, se proprio ci tieni. bastano due cose:

  1. dicci in modo chiaro cosa vuoi. non è un peccato voler scopare, mentre è scorretto cercare di arrivarci in modi che minano l’agency dell’altra persona.
  2. il rifiuto si accetta, bona.

anche se fa male: non è un giudizio sulla tua persona. è solo l’espressione di un bisogno.

si dice no perché non siamo sicurә della situazione o di noi stessә.

perché sappiamo che abbiamo mangiato pesante a pranzo e sarebbe un disastro.

perché il nostro cuore è pieno di casini e non vogliamo aggiungerne un altro.

perché venere è in opposizione e l’unica cosa libidinosa è la pizza ananas e cotto.

perché non ci va con te, punto, succede.

 

Nisi Shawl e Cynthia Ward in “Writing the other” hanno dovuto scrivere un intero capitolo iniziale per far capire a chi legge il loro saggio che, ehi, abbiamo tuttә pensieri razzisti e misogini perché la nostra cultura è razzista e misogina. quello che dipende da noi, è il decidere se fare pace con questa cosa e trovare un modo per cambiare, o se metterci sulla difensiva e iniziare a riempire i social di #notallmen #notallwhite #notallcishet

e siamo o siamo stati tutti in qualche modo degli abusatori. fa male, ma è lì. cazzo, la cultura romantica è piena di cose tremende come baci dati a donne incoscienti e storie dove se insisti e insisti alla fine la conquisti, perché lei non lo sa che è tua, ma tu sì, e la avrai (spoiler: le persone non si possiedono). il passo è dirci: ok, ora la cosa mi è chiara, cosa posso fare per cambiare?

 

ps: ovviamente, il bravo ragazzo, quando gli ho detto che no, non sarei uscito con lui ieri sera, mi ha ghostato. perché il bravo ragazzo è tale solo quando ha qualcosa da guadagnare.

 

Posted in la tanaTagged abuso sessuale, coercizione, sesso, stupro

Porno, sesso e infelicità

Posted on 2020/12/05 - 2021/03/17 by queerwolf

TW: si parla di sesso in modo informale.

 

in questi ultimi mesi il mio rapporto col sesso si è incasinato. non che sia stato mai particolarmente sereno, però l’anno passato avevo iniziato a superare alcune paure, a sperimentare almeno durante la masturbazione. poi qualcosa si è bloccato. il desiderio va e viene, e quando viene non sa che voce darsi. una cosa che mi ha colpito, è che quando ho parlato di questa cosa a persone vicine spesso mi son sentito dire “Anche io”. immagino che pandemia e dispositivi di distanziamento sociale abbiano le loro responsabilità: il sesso spesso è un atto di fantasia, e la fantasia è un palloncino ancorato al reale, e questo reale per moltu di noi da mesi esclude o complica il contatto fisico.

ma sono dell’idea che le crisi non creino problemi ma li esasperino, e che i disagi che proviamo ora fossero lì dietro l’angolo ad aspettarci. e quindi ho iniziato a ragionare sul principale produttore di fantasie sessuali della nostra società: il porno.

le considerazioni che seguono sono davvero banali, ne sono consapevole. però a volte inseguiamo così bene le soluzioni più complesse da dimenticarci le risposte più ovvie. scriverle mi ha aiutato a fare un po’ più di ordine in testa, e spero che possa aiutare qualcunu di voi. premetto infine che le mie riflessioni fanno capo alla pornografia omosessuale, ma visto che la comunità gay è sempre stata bravissima nel prendere il peggio dal mondo eterosessuale, immagino che molti punti siano sovrapponibili.

 

nel porno gay c’è uno stereotipo fisico che è “normale”, dove “normale = a cui ambire, pregiato”. lo si comprende perché non ha un suo tag specifico, non finisce in un kink, in una categoria. questo ubergay nasce dall’intersezione tra un discorso di età (a spanne dai 22 ai 32 anni), fisicità (né twink né bear, magro ma non troppo, muscoloso ma senza eccessi, assolutamente non grasso dove grasso = 0,0005% di ciccetta sulla pancia), colore della pelle (bianca), abilità (totale), aderenza al ruolo di genere (100% legato alla mascolinità egemone, sempre sessualmente arrapato e arrapabile). basta distanziarsi di un fattore da queste possibilità per diventare non una persona, ma una categoria pornografica.

poi si aggiunge la rappresentazione dei ruoli sessuali, dove la differenziazione ricade su ciò che si fa. in linea di massima il confine netto è tra attivo e passivo, e la definizioni di chi è cosa ricalca in modo chiaro la divisione di ruoli di genere etero. l’idea della versatilità merita già una categoria a sé (flip flop). la regia è la maggior parte delle volte una celebrazione dalla prospettiva dell’attivo, che viene dipinto come un dominatore, vuoi attraverso le posizioni assunte (pompini ricevuti spaparanzato sul divano mentre l’altro è inginocchiato; in piedi con prospettive dal basso, dove l’attivo sembra gigantesco, o dall’alto, dove il passivo è palesemente sovrastato; si scopa da dietro a quattro zampe; e via di seguito) vuoi dalle cose che accadono (sborrata in faccia). spesso è un attivo “totale”: se è rappresentato del petting, non tocca il cazzo del passivo, non lo spompina. spesso non fa nemmeno del rimming: il passivo d’altronde è noto che è rilassato e dilatato a sufficienza quando l’odore di testosterone riempie l’aria, quando è chiaro che avrà l’onore di ricevere un VERO CAZZO™. tra i due, quello dell’attivo è il ruolo più performativo (benvenuta mascolinità tossica) e che non concede errori di rappresentazione: pose sempre tese, verseggi da “vero maschio” (yeah, ah, fuck!), ritmi penetrativi da martello pneumatico. non è insolito che lui venga, il passivo no. in fondo, il cazzo nel porno come nel mondo reale è il centro dell’universo, e spesso le inquadrature sono per lo più dedicate a lui e a ciò che fa o riceve.

e poi c’è il modo in cui viene narrato l’atto sessuale: come un atto penetrativo che culmina nell’eiaculazione. tutto quello che c’è prima, è in funzione della penetrazione. si comprende bene anche nei teaser, in quei video sotto i dieci minuti che devono poi invogliarti a sottoscrivere un abbonamento o comprare il film: seghe, pompini, baciotti, dialoghi occupano la maggior parte del tempo perché non sono importanti. quel che conta è la penetrazione, e/o l’eiaculazione: alcuni teaser si fermano dopo pochi colpi in culo, altri si bloccano nel momento in cui l’attivo sbora. vista la loro funzione commerciale, il messaggio è chiaro: ciò che vuoi comprare viene dopo, tutto il resto non conta.

se il filmato si concentra solo su un aspetto del petting (sega, pompini) già siamo in una categoria separata, in un kink (e visto che la fantasia è ancorata al mondo reale, nel quotidiano spesso queste cose non sono definite come sesso, non sono indici di superamento di quel, ehm, grande traguardo che è la perdita della verginità). il mondo delle coccole post orgasmo non esiste. le cose altre (sado, pissing, frotting, momenti di tenerezza etc etc etc) sono per l’appunto altre: non sono il centro del porno penetrativo che, di nuovo, passa per “normale = migliore”.

 

tutte queste cose sono importanti non solo perché condizionano il modo in cui costruiamo e rappresentiamo le nostre fantasie (tra l’altro, la definizione del consenso nel porno è praticamente assente, la coercizione e forme più o meno esplicite di stupro sono frequenti), ma visto che il porno costruisce il nostro immaginario sessuale, ci dicono anche se siamo o meno degni di attenzioni e affetto nel mondo reale.

le chat di gay dating seguono con le loro codifiche esattamente quelle che troviamo nel porno: tag fisici, tag di ruolo, tag di kink. si specifica ciò che esce dalla norma. se sento e desidero cose diverse, allora sono fuori dalla norma, da quella norma che in automatico è giusta. e se gli altri vogliono cose diverse da me, ed io ho una sessualità che (sembra?) aderire perfettamente a quell’immaginario, allora gli altri sono sbagliati o, al massimo, sono funzionali al mio divertimento esotico per una volta o due.

ma il sesso e il desiderio sessuale e le espressioni identitarie non sono mai sbagliate una volta che c’è il consenso e, soprattutto, non sono mai “normali”. abbiamo costruito un’identità variegata e complessa su un bisogno primario come quello dell’alimentazione (con un sacco di altri problemi) e, nazionalismi idioti a parte, è raro che qualcuno ci neghi la possibilità di costruirci la nostra nicchia alimentare fatta di cose che ci piacciono, di cose che non ci piacciono, e di combinazioni che ad altri sembrano strane (anche se poi trovare determinati prodotti diventa comunque difficile e costoso). dovrebbe essere lo stesso per il sesso, che è un bisogno primario a sua volta, uno strumento comunicativo e di piacere.

quando vado al supermercato, non trovo un reparto marmellate pieno di giganteschi barattoli di confettura di albicocca, illuminati e ben esposti, pubblicizzati, mentre quelle di arance, mandarino, prugna, pesca vengono nascoste dietro, messe in lontananza, confezionate in barattoli minuscoli, posizionate nell’ombra. e nessuno mi guarda male se ignoro le marmellate per fare scorta di crema al pistacchio.

 

la metafora alimentare fallisce comunque in un aspetto: per quanto si dica “siamo ciò che mangiamo”, non siamo mai davvero una marmellata di more o una confettura di fragole. quando invece si tratta di sesso e pornografia, siamo anche la parte rappresentata. e il porno mainstream ci sta dicendo costantemente che se non siamo confetture di albicocche, nessuno ci vorrà mai. che è letteralmente quello che rimarcano Grindr, Gay Romeo, ma anche app miste come Tinder: esiste una sola rappresentazione (binaria), una sola “scelta” sessuale (etero o gay), una sola rappresentazione erotica (penetrativa ed eiaculativa).

fortunatamente stanno nascendo nuovi modi di fare pornografia, o si stanno valorizzando voci che da decenni lottano contro questa rappresentazione (Annie Sprinkle, Candida Royalle), ma sono cose che rimangono lontane dagli ambienti mainstream, e che si scoprono spesso tardi, quando una fetta grossa della propria identità è già consolidata. e a volte temo che da lì in avanti si possano trovare solo rattoppi, non nuove definizioni di felicità.

Posted in la tanaTagged porno, sesso6 Comments

spillette

Posted on 2020/06/16 - 2021/03/17 by queerwolf

ho sempre amato le spillette. messe sullo zaino, mi aiutano a dire al mondo in cosa mi identifico e ciò per cui voglio lottare.

ovviamente ogni spilletta ha la sua storia: per esempio, per arrivare a definirmi poliamoroso ci sono voluti anni di riflessioni, letture, condivisioni, dolori e ora sono felicissimo di andare con quella spilletta in giro per la città.

se domani dovessi toglierne una non ne cancellerei di certo la storia: rimane nei diari, nella mia testa, nelle discussioni collu miu amicu. La sua storia continuerà nelle motivazioni per cui l’avrò levata, perché ho ritenuto quel valore non più mio o superato. quando avevo vent’anni un forte aspetto identitario era nella musica (POP, chiedo perdono XD) e così finiva che lo zaino aveva citazioni di Britney e spillette trash. col tempo la mia storia personale (che è frutto anche di tutte le storie personali altrui che ho incrociato nel mio percorso) ha modificato la mia scala di valori, le spillette di Britney sono sparite, ma non per questo le mie gambe stanno ferme quando dalle casse esce l’intro it’s Britney, bitch!

anche se dovrei curarlo di più, quando penso al mio zaino e alle sue spillette penso anche ad uno spazio sicuro. un linguaggio per dire: ehi, se mi verrai a parlare di queste cose sappi che ti sentirai a casa. non è mai capitato che qualcunu mi dicesse che una di queste lu feriva perché negava la sua identità, la sua esperienza (a parte forse qualche coinquilino con un gusto musicale decente), ma se fosse accaduto avrei cercato di capire le motivazioni della persona e l’avrei levata: la storia che mi ha portato a quella spilla comunque sarebbe rimasta nella mia esperienza, assieme ora allo scoprire che quel valore creava dolore a qualcun altru, e all’impegno nel non ripetere quell’errore. tenerla con la consapevolezza che il suo significato possa ferire qualcuno* mi farebbe sentire scorretto non solo davanti al giudizio dellu altru, ma soprattutto del mio.

non sono esattamente il re dell’autostima, eppure la mia identità non scompare se mi viene chiesto di togliere una spilletta per un buon motivo: preferisco uno zainetto che faccia sentire lu prossimu a casa che non uno che dica “questa è la mia storia, se stai male è un problema tuo. contestualizza”.

*ovviamente se tiziu mi dice “leva la spilletta perché l’idea che esistono i froci mi ferisce” e tutte le varianti del pensiero omolesbobitrasfobico, razzista e sessita: ciaone.

Posted in la tanaTagged #identità, #spillette

di psicoterapia, romanzi e stupri

Posted on 2020/04/21 - 2021/03/17 by queerwolf

cose di cui si può parlare grazie all’anonimato*.

dopo quasi due anni, oggi chiudo il mio (primo) percorso di psicoterapia. e da personcina attenta alla voce narrante del mondo, non riesco a non vedere il collegamento tra una serie di cose.
sono entrato in terapia quando ho iniziato ad accorgermi che non sentivo più nulla o quasi. le due emozioni principali erano paura e senso di soffocamento, la medicina preferita l’alcool (non avevo ancora realizzato fino in fondo quanto questo fosse un problema ma ora sono un anno, sei mesi e 12 giorni che non bevo e wow), le giornate una specie di grossa trappola.
giusto un mese e rotti prima del primo incontro avevo concluso la stesura definitiva di quello che avrei voluto fosse il mio secondo romanzo. volevo presentarlo ad un concorso, non passai la prima fase di selezione, decisi che ero un fallito e non toccai più penna per mesi.

punto centrale della storia è il superamento di uno stupro. ho cercato di immaginare un protagonista distante da me, ma per il tema principale ho preso a piene mani da una violenza che ho subito a 20anni (ad essere puntuali, quella è stata la prima ed unica esperienza di stupro che ho vissuto, ma non il primo abuso. ma dato che di tante cose non si è parlato se non negli ultimissimi anni, non ne ero consapevole). ho iniziato a scriverne senza pensare troppo alle conseguenze per me, e mi rendo conto solo ora che quell’idea è stata la goccia che ha fatto traboccare un vaso che era già abbondantemente riempito dagli eventi degli anni precedenti (tipo una relazione psicologicamente abusiva).

quel testo dopo la bocciatura al concorso se ne è rimasto chiuso nel PC per quasi due anni. fino a tre settimane fa, quando l’ho ripreso in mano per un altro potenziale concorso, e mi sono accorto che non era malaccio (spoiler: ho dovuto stravolgerlo totalmente, ma questa è un’altra storia ancora). non è facile pensare a quell’evento, a quello che ne è venuto dopo, provare a renderlo su una pagina che voglio sia viva e coinvolgente. ma ora, a distanza di due anni è qualcosa di vivo e che magari fa paura ma non terrore. la prima sensazione è nel voler far qualcosa per far sì che queste cose non accadano più (e per questo finisco per parlarne), ma non sono qui più a dirmi che è stata colpa mia, che me lo sono meritato, che l’ho cercato (che quando il messaggio che passa da fuori è questo, poi alla fine ci credi anche tu).

e mi piace un sacco questa simmetria: scrivo il libro – inizio la terapia – riprendo in mano – finisco la terapia. è una di quelle cose che un autore potrebbe mettere in silenzio in un romanzo per far capire, senza esplicitarlo direttamente, che lu suu protagonistu è prontu per viversi più pienamente.
e almeno per oggi, io mi sento così.

*che l’assenza di un nome e di una faccia non servono solo ai cyberbulli (che poi lo sono anche quando ci mettono nome e cognome), ma questa è un’altra storia.

Posted in la tanaTagged abuso sessuale, psicoterapia, scrittura, stupro

narrarsi

Posted on 2020/03/30 - 2021/03/17 by queerwolf

chi soffre di disturbi d’ansia o di depressione spesso è consapevole del potere della narrazione personale. dopo un attacco, quando si trova il tempo di mettere a nudo il meccanismo che l’ha scatenato, la sproporzione delle sue meccaniche diventa evidente: no, non è vero che non vali niente, che non meriti l’amore di nessuno, che sei un fallimento. che il tuo corpo è fragile, che non hai forza emotiva, che le tue opinioni non valgono. sono cose che si possono capire dopo, ma che sul momento sono assolutamente vere e più reali di qualsiasi dato oggettivo o rassicurazione si riceva. e queste idee alimentano il meccanismo autodistruttivo che porta poi all’attacco d’ansia o di panico o all’acuirsi dello stato depressivo. la narrazione personale è distorta, esageratamente negativa, ma diventa l’unica cosa vera. sul momento è difficile rendersene conto perché il cervello è una macchina di infinita caoticità: anche a voler esser completamente presenti a noi stessu, vengono elaborati centinaia di messaggi al secondo che leggiamo e immagazziniamo secondo i bias che abbiamo sviluppato. se la nostra narrazione personale è condizionata dalla lente di un giudizio negativo, il risultato possibile è solo uno.

si può imparare molto in questi giorni dalle persone non neurotipiche, perché quello che sta accadendo fuori, politicamente, è molto simile al vissuto interiore quotidiano, allo scontro con il poliziotto mentale che arbitrariamente accusa e punisce. gli input esterni sono violentemente colpevolizzanti. la scelta politica è stata di renderci colpevoli di ogni singola morte o infezione, invece di prendersela con gli effettivi responsabili. siamo dei mostri per una spesa in più, per aver allungato la strada dal supermercato a casa per goderci due raggi di sole. per aver messo in discussione le motivazioni del Buon Padre della Patria che si prende cura di noi pecorelle smarrite e incapaci.

ci vuole molta forza e un background critico notevole per poter far sì che il nostro cervello filtri questi messaggi e li legga per ciò che sono: stronzate. e la maggior parte di noi purtroppo non ha avuto modo di sviluppare questa capacità, anche e soprattutto perché la società competitiva e individualista che ci ha cresciutu ci ha abituatu all’idea che ogni fallimento o errore sia una colpa personale, che lo star male sia segno di un’incapacità vergognosa, che non esistano responsabilità collettive e sociali.

per questo è fondamentale in queste giornate insane fermarsi e concedersi del tempo per ascoltarsi, per capire qual è la propria narrazione personale: come mi sto vedendo, come mi sto descrivendo? come penso che mi vedano le altre persone? quali azioni sto limitando perché ho paura? ascoltiamo e poi smontiamo con rispetto e tenerezza verso noi stessu quei finti dati di fatto che abbiamo sviluppato in queste giornate assurde, e ricordiamoci che questa è l’unica vita che abbiamo e che nessuno, men che meno un Buon Padre della Patria ed i suoi sgherri armati possono dirci come sia giusto viverla. potremo costruire nuove utopie solo se sapremo uccidere il poliziotto interiore.

Posted in la tanaTagged narrazione, poliziotto interiore, utopia

il gioco del privilegio

Posted on 2020/03/22 - 2021/03/17 by queerwolf

facciamo un gioco, un gioco piccolino.
il gioco ha un obiettivo, ma non è quello che può sembrartial primo colpo. non serve per farti sentire in colpa, ma per empatizzare. è una specie di lista (parziale, parzialissima) di esperienze altre, giusto per aiutarci a fare due conti e capire perché in questi giorni ci sono persone che magari non fanno quello che viene ordinato dal governo ma per questo non sono cattive, sono solo diverse da te, hanno bisogni o necessità (e non sfizi) che non sono stati considerati.

il gioco si chiama “qual è il tuo privilegio?”, dove “privilegio” è il termine centrale: la quarantena ha fotografato una situazione ben precisa, dividendo in modo netto chi ha potuto o meno avere un certo tipo di certezze, di sicurezze a cui appoggiarsi in questi giorni, e chi no. e per quanto ci farebbe piacere pensare che siano tutte merito nostro, la fetta maggiore di ciò che abbiamo viene dalla famiglia di origine, da dove siamo nati, dalle persone che abbiamo incontrato o anche solo dalla fortuna.

(la lista è in espansione, commenta e suggerisci pure)
(avevo il bisogno di inserire anche delle cavolate, perché non sto più reggendo l’atmosfera pesante di queste giornate)

1) ho una casa di proprietà +3
2) ho una casa +2
3) non è un monolocale o uno spazio piccolo condiviso con tante persone +2
4) ho un giardino/terrazzo per prendere un po’ di aria +2
5) né io né le persone con cui vivo dobbiamo uscire per lavorare +3
6) non ho vicini che fanno un casino immenso +1
7) ho un lavoro a tempo indeterminato con smart working +3
8) ho un lavoro a tempo indeterminato +2
9) il mio lavoro mi piace +3
10) vivo solu, e mi sta bene +3
11) vivo con chi amo, e stiamo bene assieme +2
12) ho dellu figliu e non sembrano possedutu dal demonio +2
12 bis) i miei vicini hanno dellu figliu, e non sembrano possedutu dal demonio +1
13) ho strumenti per comunicare con le persone care, distanti +2
14) le persone a cui tengo stanno bene +3
15) sono giovane e in salute +3
16) non soffro di disturbi d’ansia, depressione, o altri disturbi mentali +3
17) non ho problemi di salute che potrebbero incasinarsi col Covid19 +3
18) la mia mobilità non è compromessa +3
19) ho dei risparmi +3
20) ho avuto tempo libero negli anni per sviluppare delle passioni, e posso viverle anche in casa +2
21) vivo in una città con tutti i servizi +3
22) non mi è complicato procurarmi del cibo +3
23) non sono in un luogo isolato dal mondo +2
24) ho un mezzo privato per spostarmi, o i mezzi pubblici sono frequenti +2
25) non dipendevo già da prima da qualcuno per le mie scelte +3
26) ho una formazione tecnologica sufficiente per sentirmi meno isolatu, per informarmi in modo corretto +2
27) la mia etnia non mi rende oggetto di discriminazioni +3
28) la mia sessualità non mi rende oggetto di discriminazioni +3
29) non sono in Confindustria (e quindi posso guardarmi allo specchio e volermi bene) +3
30) ho un cane (che in queste giornate è un vero e proprio bonus) +3
31) non ho bisogno di vicinanza fisica per tenere a bada il mio cervello +3
32) so decidere cosa mi fa o non mi fa bene +2
33) non soffro di dipendenze +3
34) non ho avuto problemi di dipendenze, e ora non devo temere che possano tornare +3
35) non mi fanno paura le forze dell’ordine +3
36) ancora non trovo Conte sexy +1
37) la mia passione per gli horror mi aveva già preparato a tutto questo +2
38) ho vicino delle strutture sanitarie adeguate (LOL, il SSN è stato smantellato da politiche neolib trasversali) +0

39) so difendermi dal sempre più forte controllo tecnologico +2

risultato:
quale che sia il risultato, prova a pensare a come puoi mettere i tuoi privilegi a disposizione di chi non ne ha. anche cominciando con il difendere le loro posizioni su social che sono diventati aggressivi e violenti, raccontare le loro storie. dare voce a chi non l’ha, pretendere soluzioni per loro è la cosa migliore che tu possa fare in queste assurde giornate.

(i numeri li ho messi più o meno a caso)

Posted in la tanaTagged empatia, gioco, privilegio

di narrazioni, decreti ed empatie

Posted on 2020/03/14 - 2021/03/17 by queerwolf

sono giorni che desidero parlare dei limiti delle misure di contenimento prese dal Governo. critica non in merito alla potenziale o meno efficacia, quanto su tutto quello che non tiene in considerazione, all’immaginario (perché alla fine CCCP parla di quello) che si porta dietro.
però ho paura di farlo, perché in questi giorni non c’è modo di muovere un’obbiezione senza rischiare l’insulto. qualcosa di timido su Facebook l’ho pure fatto, ma è stato un macello.
col cervello in questi giorni masticato dall’ansia, ci ho messo un po’ a rendermi conto che le due cose sono correlate: i limiti, e chi ora attacca chiunque non segua in modo ligio le regole imposte (come giustamente ricorda Luca Casarotti su Jacobin, imposte più con il linguaggio della paura che con quello legale).

il governo ha deciso di congelare il paese in un momento X: prima ci si poteva muovere, da quell’istante non più.
questo perché buona parte dell’esecutivo è composto da persone benestanti, bianche, etero, cis e neurotipiche. persone che, se vivono una qualche forma di limite, possono aggirarlo o aggiustarlo coi soldi, o usare il loro potere per superarlo o almeno sopravviverne. persone per cui ogni momento della giornata, dell’anno è in una zona di comfort. un po’ come chi sta puntando il dito contro ogni comportamento in deroga al decreto o contro le critiche.
persone che hanno dei risparmi, o contratti sicuri, o casa di proprietà (o casa e basta). che non hanno problemi di salute. che vivono da sole, e ci stanno bene. o che vivono con persone con cui hanno per lo meno rapporti civili. persone la cui idea di “bene comune” coincide con il proprio, di bene. che risolvono il problema dei negozi chiusi ordinando su Amazon o facendosi spedire il pranzo da Deliveroo, senza rendersi conto del privilegio che permette loro di essere a casa e non rischiare, scaricando quel rischio addosso agli altru lavoratoru che portano merci, che consegnano il cibo senza contratti né sicurezze.
sono dell’idea che sempre e ancora più nei momenti di crisi sia un dovere rendersi conto dei limiti della narrazione ufficiale, e creare nuovi immaginari che possano far star bene tuttu. ritornare a pensare come comunità, e non come piccoli elementi isolati.

in questi giorni ho letto di un sacco di persone che hanno pagato questo immaginario stretto, piccolo, borghese, e tuttu quel qualcuno che potevano essere noi, potevano essere me.

posso essere io quellu coi genitori che si fanno il mazzo a Crotone per permettermi di studiare a Milano, genitori che tempo zero si sono ritrovati senza lavoro. r allora sarei statu tra quelle persone scese in fretta e furia dal nord verso il sud, perché l’alternativa sarebbe stata di rimanere senza né casa né cibo. ma tu mi avresti voluto bloccatu lì.posso essere io ad avere un coniuge violento da cui ora non posso scappare, menatu a sangue ancora e più di prima, che le sue tensioni ora non le può manco scaricare al bar. e tu mi avresti denunciatu per due passi senza meta fuori casa.
posso essere io quellu denunciatu perché senza fissa dimora, perché nessuno ha pensato che non è che tutti abbiamo una casa. e la chiamata avresti potuto farla tu.
posso essere io quellu con disturbo depressivo bloccatu in casa con una famiglia che pensa che su, dai, sei solo senza voglia di fare, muovi il culo. e tu davanti ai miei sfoghi disperati avresti scritto “Siamo tutti nella stessa barca, smettila!”.
posso essere io quellu con il disturbo d’ansia e che ora non posso vedere le persone che mi fanno del bene e che no, cazzo, non è uno sfizio, perché rimanere in casa è una tortura, i pensieri si accavallano e alterano il reale e tutto ciò che è più doloroso diventa vero, anche se non è mai accaduto. e tu quando leggerai della mia multa perché scappatu da casa in preda ad un attacco di panico dirai “Che egoista coglione di merda”.
posso essere io quellu chiuso in prigione senza sapere come stanno i miei parenti, ammassatu con altri corpi, con le guardie coi nervi a fior di pelle che continuano a dire che Tiziu sotto di me ha solo un po’ di influenza, è solo influenza. e tu dirai “Se eri in prigione c’è un motivo, ben ti sta”.
posso essere io quellu che va a lavoro senza contratto, o con la febbre, perché non posso pagarmi l’affitto e il cibo sennò, e mi spiace, ma mi è stata data la scelta se ammalarmi o morire di fame. e mentre tu ritirerai il tuo panino che ti ho consegnato, mi darai 20 centesimi di mancia sentendoti lu miglioru.

se Conte avesse detto “Solo il padre di famiglia può andare a lavoro”, avresti (spero) protestato. eppure questa frase non troppi decenni fa sarebbe stata lecita. ora non lo è perché in parte (mai abbastanza) la narrazione del ruolo della donna è cambiata.
e per questo è necessario mettere in discussione gli immaginari attuali e proporne di nuovi, approfittare della crisi per evidenziare ciò che non va, e fare in modo che domani le cose siano migliore per tuttu, non solo per chi è come te.

per farlo, serve empatia.

continuo ad essere ottimista. sono sicuro che sia la paura a farti fare certe cose, la paura di non sapere cosa ci sarà domani, paura che è anche mia. e per questo credo che anche tu voglia cambiare la tua, di narrazione, e uscire da Homo homini lupus, da questo romanzo collettivo che è solo uno dei tanti, non l’unica soluzione.
scriviamo assieme qualcosa di migliore.

Posted in la tanaTagged coronavirus, empatia, narrazione

linguaggio, genere e CCCP

Posted on 2020/03/08 - 2021/03/17 by queerwolf

la grammatica non è un monolite intoccabile, ma porta con sé i bias di chi l’ha pensata, diffusa e normalizzata. la nostra è stata prodotta principalmente da uomini bianchi eterosessuali con una visione del mondo drasticamente binaria e maschilista.
di contro, ogni decisione di rottura crea scontento perché diventa parziale a sua volta, e frutto di una posizione ben precisa.
la posizione ben precisa del pack è che in ogni occasione possibile prenderemo le parti di chi ha meno voce e rappresentanza.
e quindi.

il pack rifiuta l’utilizzo del maschile come genere neutro. il pack si impegna inoltre a ricordare al mondo che le identità di genere non si concludono nella binarietà femminile/maschile, e per questo non si accontenterà di moltiplicare sostantivi e aggettivi (es: benvenute e benvenuti).
abbiamo inoltre la consapevolezza che l’asterisco ha una funzione politica potente, perché mette graficamente in evidenza il problema, ma è poco funzionale dal punto di vista del linguaggio parlato. e le persone non binarie non esistono solo sulla carta o tra i bit: hanno bisogno di esprimersi anche in una piazza mentre distruggono il capitalismo e l’eteropatriarcato.

per questo la scelta ricade sulla desinenza -u.
quando ci troveremo davanti a casi che prevedono suffissi diversi tra il genere femminile e quello maschile, daremo sempre la precedenza a quello femminile (che ci sono secoli di storia di debito da recuperare).
es: studente/studentessa = studentessu.

il pack ricorda che sì, all’orecchio e all’occhio non ti torneranno, suonereanno male etc etc.
ma questo accadrà prima di tutto perché banalmente non ne sei abituatu. e, secondo, il diritto ad esprimersi di tuttu viene prima del nostro gusto estetico.

 

aggiornamento a marzo 2021:

siamo passatә allo schwa. così, per ripicca verso la “u” che era troppo maschia. abbracciotti.

Posted in la tanaTagged genere, grammatica

non post

Posted on 2020/03/04 - 2021/03/17 by queerwolf

l’idea di un blog era in testa da settimane. le cose di cui parlerà, il tono, i piani nel lungo periodo.

però il primo intervento, questo primissimo testo, no.
perché è quella cosa che ti presenta al mondo, quell’insieme di righe che farà dire: “ok, voglio sapere cosa si dice qui dentro”, o “no, che marea di cazzate”. e ho sempre paura delle primissime impressioni, anche quando so cosa sto facendo e perché (e perché poi alla fine quella certezza non l’ho mai). rimando gli appuntamenti coi tipi per questo. i concorsi. le iniziative che mi piacciono. per carità, di cose ne sono cambiate ma, insomma.
anche perché qui dentro ho voglia di mettermi a nudo politicamente e socialmente, e visto che per me la politica parte dal personale (mente, corpo, sesso, affetti subiscono le politiche), insomma, è costoso emotivamente.
quando capiterà che dirai che ti sto sulle scatole? che non ti piace ciò che faccio, come farò? come farò a non prenderla sul personale, a dirmi “ok, io a questa roba ci credo, fa parte delle mie esperienze”?

forse quindi questo primo post potrebbe essere una richiesta: trattiamoci bene, incontriamoci con rispetto. anche perché la volontà è quella di toccare temi a cui tengo (ansia e disturbi mentali sociali, queeritudini e femminismi, anticapitalismo) e cercare risposte, non dogmare o pronunciare verità uniche. parlare di cose del quotidiano che portano a riflessioni più grandi, condividere certi progetti, dire una cavolata. fare un po’ casa, un po’ famiglia, una xenofamiglia in cui non sempre la si pensa uguale, ma alla fine ci si vuole comunque bene, si taglia una fetta di tenerina e ci si racconta le cose che faremo quando finalmente il capitalismo sarà crollato e potremo avere vite migliori. e nel mentre, fare rete fino a quando quei giorni non saranno qui.

Posted in la tanaTagged #ansia, #gentilezze

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  • OWOF: giochi strani dal pack

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