l’idea di un blog era in testa da settimane. le cose di cui parlerà, il tono, i piani nel lungo periodo.
però il primo intervento, questo primissimo testo, no.
perché è quella cosa che ti presenta al mondo, quell’insieme di righe che farà dire: “ok, voglio sapere cosa si dice qui dentro”, o “no, che marea di cazzate”. e ho sempre paura delle primissime impressioni, anche quando so cosa sto facendo e perché (e perché poi alla fine quella certezza non l’ho mai). rimando gli appuntamenti coi tipi per questo. i concorsi. le iniziative che mi piacciono. per carità, di cose ne sono cambiate ma, insomma.
anche perché qui dentro ho voglia di mettermi a nudo politicamente e socialmente, e visto che per me la politica parte dal personale (mente, corpo, sesso, affetti subiscono le politiche), insomma, è costoso emotivamente.
quando capiterà che dirai che ti sto sulle scatole? che non ti piace ciò che faccio, come farò? come farò a non prenderla sul personale, a dirmi “ok, io a questa roba ci credo, fa parte delle mie esperienze”?
forse quindi questo primo post potrebbe essere una richiesta: trattiamoci bene, incontriamoci con rispetto. anche perché la volontà è quella di toccare temi a cui tengo (ansia e disturbi mentali sociali, queeritudini e femminismi, anticapitalismo) e cercare risposte, non dogmare o pronunciare verità uniche. parlare di cose del quotidiano che portano a riflessioni più grandi, condividere certi progetti, dire una cavolata. fare un po’ casa, un po’ famiglia, una xenofamiglia in cui non sempre la si pensa uguale, ma alla fine ci si vuole comunque bene, si taglia una fetta di tenerina e ci si racconta le cose che faremo quando finalmente il capitalismo sarà crollato e potremo avere vite migliori. e nel mentre, fare rete fino a quando quei giorni non saranno qui.