in questi giorni ho ripreso a scrivere con costanza.
gennaio è stato un mese di passaggio. sentivo così tanto il bisogno di mantenere il periodo creativo nato sotto le feste, che alla fine ho fatto la cosa che purtroppo mi viene meglio: trasformare le cose che amo in un lavoro. anche se sua santità N.K. Jemisin continua a ricordarci che chi scrive deve liberarsi dall’idea capitalista della produttività, mi rendo conto che molto spesso penso e spero che quella nuova storia sia la cosa che in qualche strano modo mi salverà la vita, almeno da un lavoro che odio. questo cozza con la consapevolezza di non essere Virginia Woolf e delle difficoltà di vivere di scrittura ma, ehi, chi sono io per negare la contraddittorietà dell’essere umano?
pian piano però forse sto trovando un certo ritmo ed equilibrio, e la creatività è riesplosa. e ieri, per la prima volta da davvero molto tempo, sono andato nell’altro posto.
sicuramente ci sono nomi più accattivanti, però so che ci vanno un sacco di persone che fanno arte, che scrivono.
è quel luogo in cui ti ritrovi quando perdi i confini con chi sei, con le cose che ti circondano e le parole ti dicono cosa vogliono, cosa si aspettano da te. è un luogo dove non puoi fare tutto, ma dove puoi essere tutto. è un bel posto, quando non ti piace molto ciò che sei nel mondo reale.
ricordo che la prima volta che ci sono finitә fu quando scrissi il mio primo racconto lungo. un momento era l’ora di pranzo, il momento dopo fuori era buio, la mia coinquilina urlava per entrare nella camera che condividevamo e io avevo accanto ennemila pagine piuttosto deliranti.
fino a qualche anno fa ci entravo con facilità, a volte anche cantando e ballando in camera, o mettendo le cuffie e camminando per strada. la musica mi ha sempre facilitato il viaggio.
ricordo di quando vivevo nel mio bosco con un ex, e le passeggiate diventavano viaggi terribili. quei due anni e rotti sono stati tremendi, ma all’epoca non ne ero consapevole. le cose che creavo cercavano in tutti i modi di farmelo notare, così come gli incubi. e la quantità di alcool che ingurgitavo. lui poi era infastidito dall’altro posto, e da come tornavo. perché anche se è costoso energeticamente, ci stavo bene. e quando stai bene da qualche parte e poi sei obbligatә a tornare alla realtà, non sempre sei felice. diventano distante, triste, a volte rabbioso, a volte arreso. ogni volta che tornavo dall’altro posto ci ritrovavamo a litigare.
ho finito per smettere di scrivere, bevendo ancora di più. quando la relazione è finita ho scritto il mio primo (e ad ora unico) romanzo, ma è stato una cosa altra. è venuto dalla testa e dalle frustrazioni degli anni precedenti e dalla convivenza forzata dopo la rottura. è stata una scrittura di fuga, ma non mi ha portato in nessun luogo.
ed è stato così per l’anno seguente: un sacco di scrittura, un sacco di alcool, troppa testa. testa e altro posto sono antitetici, perché l’altro posto è opposto al razionale, pur avendo un sacco di sue regole e leggi.
quando ho smesso di bere, è rimasta solo la razionalità. ho pensato sempre più spesso alle cose giuste da scrivere, quelle politicamente giuste, quelle che rappresentano le voci che non hanno voce e le cose in cui credo. ma anche questo è stato molto cerebrale. non credo siano venute cose brutte, ma sono state esageratamente faticose. sono state scritte per compiacere, non per star bene.
ritrovarmi ieri nell’altro posto è stato straniante, ma bello. è come quando fai sesso dopo un sacco di tempo con qualcuno di cui ti fidi, e ti spaventa quel senso di abbandono e perdita di controllo. devi decidere se lasciarti andare, o mantenere le redini. la soluzione sicura è spesso la peggiore.
ero in un posto dove scrivevo per me, di cose che amavo ma senza pensare al modo per far contentә tuttә. le parole si sono inseguite, i personaggi hanno fatto le loro decisioni, i luoghi sono comparsi da soli. è stato un tributo alla vita. mi ero dimenticato di quanto fosse reale l‘altro posto: sono tornato con la tachicardia, i muscoli tesi, le mascelle serrate. ho vissuto sul mio corpo tutte le emozioni delle scene che avevo scritto. ma al ritorno mi attendeva il lavoro, e sono stato male per buona parte del pomeriggio, completamente incapace di accettare di essere in un posto terribile, quando l’altro posto era lì ad attendermi.
fintanto che certe cose nella mia vita non cambieranno, ho paura che continuerà ad essere così: andare nell’altro posto sarà magnifico, ma poche ore di piacere regaleranno mezze giornate di frustrazioni e arrabbiature. o forse ad un certo punto scoprirò nuovi equilibri, e riuscirò a portare qui qualcosa dall’altro posto, e anche le cose insopportabili saranno un filo migliori.
tu ci vai mai?