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creepy cute commie pack

  • what the pack?!?

Tag: scrittura

perché narriamo l’altrә?

Posted on 2021/04/23 by queerwolf

perché decidiamo di inserire nelle nostre storie personaggi di gruppi marginalizzati?

 

qualche settimana fa, durante un corso, ho avuto la fortuna di ascoltare Djarah Kan parlare di rappresentazione delle persone nere nelle narrazioni, e a un certo punto ci ha chiesto: “ma perché voi volete parlare di persone nere? qual è il vostro obiettivo? cosa volete raccontare?”

già: perchè?

 

quella lezione mi ha mandato in tilt. mi chiedo spesso come posso rappresentare chi vive esperienze lontane da me, ma mi sono chiesto di rado se posso farlo. come questa domanda mi si affaccia alla testa parte un effetto tipo reduce del Vietnam, con le urla di chi dice che non si può più dire nulla allora, che un maschio bianco cisetero può parlare solo di sé stesso etc etc etc (storia vera e reiterata, sob). e, soprattutto, posso pure impegnarmi a “stare sul pezzo”, ma alla fine una parte di me è arrogantella ed egoista e pensa subito che “ehi, gli altri è il caso che non scrivano di esperienze che non conoscono, ma io sono sul pezzo, mi informo, leggo, ascolto, quindi posso farlo”. shame on me.

la risposta istintiva alla domanda di Djarah è: perché è giusto, e perché voglio mettere a disposizione il mio potenziale privilegio (quello di una sperata futura pubblicazione) a vantaggio di chi potrebbe non goderne.

ma se è questo l’obbiettivo, possono esserci soluzioni diverse, che vadano verso una direzione il più rispettosa possibile dei gruppi marginalizzati?

 

parlandone con unә amicә qualche settimana fa, questa persona ha detto la cosa che dal mio punto di vista chiude già il dibattito: l’esperienza di un’altra persona non è qualcosa che si può imparare, che si può studiare. posso pure passare tre anni a leggere testimonianze sull’ONIG e sulla vita di una persona trans non medicalizzata, degli effetti del binder sulla schiena e dell’euforia di genere, ma non posso capire cosa voglia dire essere una persona trans. posso essere spocchioso come Jonathan Franzen e studiarmi la tettonica a placche per tirarti giù paginate noiosissime solo perché mi credo figo, ma non posso fare la stessa cosa con la vita delle persone.

e visto che la rappresentazione di molti gruppi marginalizzati è scarsa, ogni personaggiә X nerә, trans, queer, disabile avrà un’enorme responsabilità, perché (purtroppo) sarà l’unico contatto verso quelle esperienze per un sacco di lettricә. anche partendo dalla mia esperienza di frocio con sempre più dubbi sulla propria identità di genere, posso contare sulle dita di una mano le volte in cui mi sono visto rappresentato davvero in modo sincero e rispettoso, in cui non ho visto personaggi gay essere trasformati in macchiette, in vittime, o in cloni degli etero. ci sono anche quelle retoriche che nascono con le migliori intenzioni ma che sono problematiche, come “l’amore è amore” o “ci sono ennemila specie omosessuali, ma solo una omofoba”. per le persone trans c’è il problema del “natә nel corpo sbagliato”. c’è trasversalmente lo sguardo pietista, la necessità di giustificare le vite delle persone non normate attraverso la sofferenza, trasformando le nostre storie in pornografie del dolore. sono narrazioni che emergono da ambienti “alleati”, nate pensando di dare una mano, ma che finiscono per creare nuovi problemi perché reiterate senza capire cosa realmente sia quell’esperienza.

anche per questo, gira che ti rigira, l’unica soluzione coscienziosa che trovo è: metterci da parte e fare in modo che ognuna di queste persone possa parlare il più possibile, che la sua voce abbia il volume più alto. che scriva la sua storia. spendere le energie che abbiamo per fare in modo che accada, invece di lamentarci che non possiamo dire più nulla.

 

anche perché, non è vero: possiamo continuare a narrare il razzismo, sessismo, omolesbobitransfobia, abilismo etc attraverso la nostra esperienza (che non vuol dire metterci al centro della narrazione).

se vogliamo davvero essere alleatә, abbiamo un grosso vantaggio da condividere, che è quello di narrare il modo in cui anche ә più woke tra noi collaborano al mantenimento di un sistema repressivo verso i gruppi marginalizzati. posso mostrare il razzismo che porto dentro di me, la mia transfobia, la mia omofobia, il mio sessismo. non è niente di nuovo e l’abbiamo ripetuto più volte anche qui: possiamo essere sul pezzo quanto ci pare, ma viviamo in una cultura fortemente repressiva, e quei pensieri si infilano costantemente nella testa. la colpa non è nel primo pensiero, ma in come agiamo poi. da maschio posso mostrare il modo in cui la performatività della mia identità di genere sia tossica, avveleni me e gli altri uomini che ho accanto. da bianco posso mostrare le ingiustizie del quotidiano che vanno a mio vantaggio, o i miei silenzi davanti all’ennesima battuta razzista di unә collega. non serve scomodare personaggi con esperienze che non ho vissuto per parlare di queste tematiche. sono convinto che sia una scelta importantissima, perché (come mi lamentavo qui) molto spesso nelle narrazioni chi agisce in modo razzista, sessista etc è così fortemente caricato in modo negativo da creare un’enorme distanza con chi esperisce la narrazione, permettendolә di pensare che quindi lәi non sia complice, partecipe del sistema di oppressione trasversale. mostrare personaggi comuni, tridimensionali, con pregi e difetti che portano avanti la propria vita e, inconsapevoli, continuano a tenere in piedi un sistema oppressivo, è il servizio migliore come narratricә che possiamo fare a chi continua ad essere spintә al margine.

 

sono consapevole che sia un tema complesso, e che i temi complessi richiedano risposte articolate. ci sono un sacco di dubbi che rimangono aperti: dove posso tracciare il confine tra le esperienze che posso capire e quelle che non? come creo un mondo plurale senza fare disastri? cosa posso fare con il weird per affrontare queste tematiche (e vorrei tornarci)?

vorrei una risposta sicura, ma non la ho. probabilmente tornerò tra un mese con un’idea totalmente diversa. però so una cosa: collaborare alla costruzione degli immaginari, delle narrazioni è un onore. non deve per forza essere facile. ma se proviamo ad ascoltare i bisogni di chi vive il margine sulla propria pelle ogni giorno, forse sarà più semplice anche per noi sapere come fare la cosa giusta.

 

abbracciotti dal pack.

 

Posted in chihuahuaTagged #identità, margine, narrazione, privilegio, scrittura

autricә imbarazzanti e cosa farne: parte due, quella leggera

Posted on 2021/03/17 - 2021/03/17 by queerwolf

eccoci di nuovo, amicә, dopo il post serioso dell’altra volta.

quindi: hai scoperto che lә tuә registә preferitә colleziona più accuse di stupro che Oscar.

che fare?

qui sotto troverai alcune proposte, più o meno condivisibili, più o meno efficaci. spesso la loro forza dipende da due fattori:

  • il primo, è se l’autricә è ancora in vita: alcuni elementi (esempio a caso: i soldi) possono influenzare il prossimo quando ha bisogno di pagare il riscaldamento del suo castello. lo fanno lә nostrә capә a lavoro con noi, perché non farlo con lә autricә imbarazzanti? considereremo vivә anche lә autricә che possono essere fisicamente polvere ma culturalmente presenti, prese ancora come modello da altrә autricә.
  • il secondo, è il modo in cui le sue idee si riflettono o meno nell’opera: ci sono autricә che riescono a mantenere un certo filtro. altrә che rappresentano mondi permeati da ideali che poi non portano nella realtà. altrә non si fanno problemi a inserire riferimenti razzisti, sessisti, omolesbobitransfobici: con un po’ di fortuna, verranno definitә dellә enfant terrible.

(parleremo per lo più di libri, ma queste soluzioni bene o male sono applicabili a ogni forma d’arte)

 

metodo Madonna, aka “Material Girl”

adatto per: autricә ancora in vita, morte con eredi meh, opere basate in modo acritico sulle opere di autricә imbarazzanti.

perché vivere in un paese capitalista deve essere solo un vantaggio per l’autricә affermatә, e non diventare un problema? facciamo allora ә ragazzә materialistә: spendiamo i nostri soldi per cioccolata, glitter e saggi di bell hooks. nel mentre se vogliamo comunque leggere le loro storie, prendiamo i libri dell’autricә imbarazzantә in biblioteca, da un’amicә che li ha già. o compriamoli usati, così da aiutare qualche poverә libraiә.

non si tratta di una scelta da poco: se qualcunә ha delle idee di merda, è probabile che coi suoi soldi favorirà idee e gruppi politici di merda. se oggi smettiamo di comprare i libri di Orson Scott Card sicuramente non morirà di fame, ma almeno la smetterà di uscire con Ben Shapiro, o di indossare quegli orribili vestiti.

lo sapevi? Orson Scott Card (autore di Ender’s Game) è orgogliosamente omolesbobitransfobo. ma tipo che non perde un’occasione per prendersela con le persone queer e trans. Orson, amica: fatti una vita.

 

metodo I racconti nel muro, aka “No mamma, non era Lovecraft ma un porno, giuro!”

adatto per: quell’autricә con cui sei cresciutә, ma.

oltre ai soldi, ә autricә imbarazzante può utilizzare fama e visibilità come merce di scambio: e chi genera quella visibilità?

sempre per il principio del personal branding, non parlare di un’autricә, soprattutto sui social, è un modo per depotenziarlә o, per lo meno, non rafforzarne la visibilità: ok, non siamo Chiara Ferragni, ma anche noi influenziamo la nostra bolla.

personalmente la vedo come un’opzione di transizione verso il metodo Ariana Grande.

lo sapevi? Michel Houellebecq è un filino islamofobico. ok, Le particelle elementari può pure essere un gran romanzo, ma perché non provi, che ne so, un China Daddy Miéville?

 

metodo Ponzio Pilato, aka “Separiamo l’opera dall’autore”

adatto per: no

sul perché, ti rimandiamo alla prima parte dell’articolo. e ti diamo un abbracciotto per essere arrivatә fino a qui: grazie.

 

metodo HBO, aka “Contestualizzare”

adatto per: no.

no, perché quando si parla di un’autrice imbarazzante, è un metodo neutrale tanto quanto il Ponzio Pilato. casualmente, l’amicә pronta a separare l’opera dall’autricә è anche lestә nel ricordarci che “dai, insomma, facevano tuttә così all’epoca”. citando Nnedi Okorafor: “il fatto che un sacco di gente all’epoca fosse razzista non cambia il fatto che Lovecraft fosse razzista”.

lo sapevi? V. S. Naipaul, autore premio Nobel per la Letteratura nel 2001, durante la sua carriera ha avuto numerose uscite razziste e misogine, fino alla fine dei suoi giorni. ma bisogna contestualizzare: era solo il 2018.

 

metodo Social Justice Warrior, aka “a questo giro non mi incazzeroooohhh! ma come puoi pensare ‘sta roba Giancoso, seriamente?!?”

adatto per: ogni tipo di autricә, ma solo se si ha molta pazienza e nessun disturbo ansioso. e qualcunә che ti consoli.

ovvero: intervenire nei post in cui si parla di quell’autricә per informare. è un lavoro emotivamente costoso, fatto a favore delle altre persone: se le soluzioni precedenti riguardano il rapporto tra te e l’autricә imbarazzante, in questo caso si tratta di far capire a chi ancora non sa che beh, insomma, lә suә scrittricә preferitә è orgogliosamente misogina. scelta non facile quando ad esempio si parla di letteratura weird, realtà discretamente reazionaria e misogina.

lo sapevi? JK Rowling, dopo diversi, ehm, accidentali like a tweet transescludenti, sta difendendo da mesi le sue posizioni giustificandole anche attraverso elementi del suo passato (ding dong: metodo HBO) che, da persona che ha vissuto uno stupro, trovo doppiamente offensivi: non si usa un’esperienza così orribile per colpire persone innocenti. non paga, il nuovo romanzo ha al centro un uomo che si traveste da donna per uccidere le donne. spoiler: l’assassino è Lars Von Trier.

 

metodo Gimme More, aka “It’s Britney, B*tch!”

adatto per: soprattutto le autricә vive. quelle che potrebbero arrabbiarsi proprio tantissimo.

internet ha creato un sacco di cose magnifiche: meme, OnlyFans, fanfiction. una delle risposte più creative allә autricә imbarazzantә è espropriarlә dei propri universi di produzione per creare storie che includano quei gruppi marginalizzati in modo rispettoso. è quello che hanno fatto Kij Johnson e Victor LaValle con Lovecraft: la prima con La ricerca onirica di Vellitt Boe ha messo una donna al centro dell’universo onirico di HP; il secondo, con La ballata di Black Tom ha affrontato la questione razziale. e poi abbiamo Lovecraft Country (libro di Matt Ruff, serie di Misha Green). personalmente, non vedo l’ora di leggere di quando Emis Killa perse il lip–sync contro Alyssa Edwards. di nuovo.

lo sapevi? Dan Simmons, autore della saga di Hyperion, è omofobo, islamofobo, e un attimino “quella cosa che in Italia non esiste più dal 1945”.

 

metodo Annabelle

Adatto per: autricә mortә ma che continuano a venire presә come modello.

bambola, tavola ouija, serata con lә amichә, buca profonda ed è fatta.

lo sapevi? sì, direi che sì, lo sai. Lovecraft. sigh.

 

metodo Ariana Grande, aka “Thank You, Next”

adattoper: qualsiasi situazione, ex inclusә.

l’abbiamo lasciato in fondo perché più che un metodo, è uno stato d’animo.

ok, carә autricә: abbiamo vissuto momenti magnifici assieme. sono cresciutә con te, hai ispirato i miei sogni e le mie partite a D&D. è stato bello, ma è ora di guardare altrove.

non è insolito che autricә spariscano per molto meno: non ce ne lamentiamo quando l’assassino è la Mano Invisibile del Mercato™, o quando gli ideali di quell’autricә sono spirati con lei:

Ricca o povera, Italia,
sei la patria mia.
Sei così bella che somigli alla mia mamma.

Renzo: Thank You, Next.

anche la migliore delle amicizie può finire, compresa quella con un’autricә: arrivederci, e grazie per tutto il pesce.

 

e quindi

Google ci dice che al mondo ci sono 129.864.880 opere diverse da leggere. anche con tutto l’impegno, potremo leggerne durante la nostra vita lo 0,005 % (fa male, lo sappiamo).

di libri magnifici scritti da autricә non imbarazzanti ce ne sono a quintali.

vuoi avere terrore? chiudi Howard Potter Lovecraft e perditi tra i racconti di Thomas Ligotti.

vuoi leggere di adolescenti indimenticabili e lezioni di magia e di vita? dimentica i libri della Regina delle TERF e perditi tra le pagine di Akata Witch e Akata Warrior di Nnedi Okorafor.

vuoi un fantasy epico capace di parlare di razzismo lungo trame grandiose? innamorati di N.K. Jemisin e della sua trilogia La Terra Spezzata, e lascia Silvana de Mari sola coi suoi sproloqui.

se il tuo cuore brama il futuro, ignora quello di Orson – penso più ai gay degli stessi gay – Scott Card e affidati agli imperi di Ann Leckie, dove AI senzienti sanno empatizzare col prossimo più di moltә autricә.

e ancora: ci sono tre continenti che ignoriamo per la maggior parte della nostra vita, salvo forse per cercare una vacanza esotica. vuoi che non ci siano autricә magnificә che hanno avuto solo la sfortuna di non esser natә da questa parte del globo? lavoro e capitale già rendono le nostre vite soffocanti: allarghiamo il nostro sguardo.

 

visto che l’abbiamo citata più volte, vorremo concludere con una citazione di Nnedi Okorafor, tratta da una riflessione che ha fatto quando si è ritrovata in casa il busto di Lovecraft, premio vinto per il Miglior Romanzo ai World Fantasy Award del 2011:

“Lovecraft probabilmente si sta rotolando nella tomba. o, forse, diventato spirito, la sua mente si è ripulita dal veleno e ora comprende gli errori del passato. magari è felice che un libro ambientato e su un’Africa nel futuro abbia vinto un premio realizzato in suo onore. sì, è quello che voglio immaginare”.

e se gli spiriti possono cambiare, possono cambiare pure lә lettricә.

alla prossima, amicә.

Posted in chihuahuaTagged J.K.Rowling, Lovecraft, narrazione, Nnedi Okorafor, scrittura

procionә – ho il diritto di non supportarti

Posted on 2021/03/10 - 2021/03/17 by queerwolf

buongiorno dal pack <3

oggi vogliamo condividere con voi un post che viene da un altro blog, quello dellә scrittricә Francesca Harriet Ed Cappelli. lo condividiamo con voi, perché va ad arricchire le riflessioni fatte nel nostro post sulle autorialità imbarazzanti,e perché tutto il progetto di Café Revolution tocca le tematiche care al pack: la narrazione come azione sul mondo, come la narrazione agisce sui gruppi marginalizzati.

 

eccovi il post:

Non ti voglio supportare

un abbracciotto e buona lettura.

 

Posted in procionәTagged critica, J.K.Rowling, Lovecraft, narrazione, razzializzazione, scrittura4 Comments

interiora: Antebellum

Posted on 2021/03/04 - 2021/03/17 by queerwolf

[con questo post introdurremo una rubrica (assolutamente randomica) che commenterà film, serie, videogiochi, romanzi e la loro capacità di rappresentare le comunità marginalizzate. se hai domande, suggerimenti etc, sei sempre ә benvenutә. salvo dove diversamente indicato, i commenti saranno privi di spoiler. la primavera sta assopendo la nostra fantasia: si accettano suggerimenti per il titolo.]

 

Antebellum è un thriller del 2020 che cerca di seguire la linea lanciata da Jordan Peele con Scappa – Get Out e Us, ovvero usare il weird per riflettere su cosa sia il razzismo, su quale sia il nostro rapporto con l’altro, le nostre responsabilità.

qui c’è un’ottima critica al modo in cui le persone nere vengono rappresentate nel film. in generale, Antebellum ha messo in campo due tipi diversi di marionette vuote, prive di spessore, tridimensionalità. ci sono le persone bianche cattive in modo randomico, crudeli in quanto crudeli, punto. le persone nere non sono nemmeno “buone” ma solo vittime, affidando la narrazione a un altro tropo problematico, quello della persona (spesso donna) nera sofferente.

potrebbe sorprendervi, ma lo sguardo pietista fa danni tanto questo quello carico di odio. ci torneremo in futuro.

 

da un’ottica più ampia, Antebellum si porta dietro un problema comune a molte storie sviluppate da una prospettiva da salvatricә biancә/cis/etero, ed è l’attribuire al soggetto cattivo di turno dei comportamenti estremi.

 

partiamo da un presupposto: personalmente ritengo ogni narrazione politica, ma alcune di queste si propongono come tali in modo innegabile. di solito prendono quello che è il tema caldo del periodo e ci dicono “le cose stanno così, sveglia!”.

quando l’idea è quella di fare una storia così esplicitamente politica, possiamo immaginare che alla base ci siano degli obiettivi: ad esempio di denuncia di una situazione ritenuta inaccettabile, o una richiesta di cambiare lo status quo in favore di qualcosa di più rispettoso e inclusivo. in fondo ogni politica deve promuovere un certo modo di fare, e se un medium artistico vuole invitarci all’azione, cercherà di dirci anche chi deve agire, per chi e per come. film come Antebellum sono però controproducenti, e per molti versi fanno il gioco dell’oppressorә, perché ci deresponsabilizzano.

 

quando parliamo di oppressione sistemica, che sia per questioni razziali, di genere, di identità di genere etc, sistemica è la parola chiave. vuol dire che tutto quello che avvalla l’oppressione striscia nel quotidiano, si insinua nei gesti che facciamo anche noi, perché a nostra volta collaboriamo al mantenimento di quell’oppressione. lo facciamo quando nostra madre fuori dal supermercato si lamenta di “quel n* che chiede i soldi” e non diciamo niente. quando al bar il nostro amico indica “guarda quella t*, le darei una botta in testa e me la farei nel cesso” e noi ridiamo. quando nostro fratello per offenderci urla che “guidi a Mario Kart come un h*” e noi gli diamo un pugno, offesә. quando in palestra l’allenatore bisbiglia “quella sembra un tra*” e facciamo finta di vomitare.

quando perdoniamo ai politici determinate uscite “perché i problemi veri sono altri”. quando attacchiamo chi cerca rispetto e urliamo alla censura, alla cancel culture. quando ci accorgiamo del razzista/sessista/omolesbobitransfobico dentro di noi, e ci giriamo dall’altra parte.

 

Antebellum ci aiuta a girarci dall’altra parte. ci dice “nel mondo c’è un problema di razzismo, e il razzismo è questo estremo qui, questa cosa assurda. tu non c’entri niente, tu sei innocente”. altri film e serie ci dicono che “il maschio cattivo” è lo stupratore (seriale), che l’omofobo è quello che mena, che l’abilista è quello che mena (di nuovo, perché esiste solo la violenza fisica, mai psicologica, come ci ricorda di nuovo Antebellum).

 

se una storia riconosce la sua politicità, non deve farci stare comodi. se prendiamo ad esempio un altro film esplicitamente critico come Promising Young Woman, qui ogni personaggio, ogni comparsa ci dice dal primissimo minuto che tuttә siamo parte di un sistema sessista che copre e assolve costantemente sé stesso (e in modo quasi metacinematografico, è successo a Carey Mulligan proprio per Promising Young Woman). ciò che è stato fatto a Nina è stato possibile anche grazie ai tizi che fischiano per strada a Cassie, grazie alle scelte fatte dai “bravi ragazzi”.

 

in soldoni: possono esserci due modi per narrare l’esperienza del margine. possiamo fare storie che in superficie ci fanno passare per dellә alleatә, ma che in realtà servono ad assolverci. oppure possiamo ascoltare le voci di chi fa parte di quel margine, i loro bisogni, le loro speranze. riconoscere umilmente le nostre responsabilità, e aiutare altrә come noi ad uscirne.

 

voto per Antebellum: 5/5 MBEB

 

 

Posted in interioraTagged critica, film, razzializzazione, scrittura

l’altro posto

Posted on 2021/02/12 - 2021/03/17 by queerwolf

in questi giorni ho ripreso a scrivere con costanza.

gennaio è stato un mese di passaggio. sentivo così tanto il bisogno di mantenere il periodo creativo nato sotto le feste, che alla fine ho fatto la cosa che purtroppo mi viene meglio: trasformare le cose che amo in un lavoro. anche se sua santità N.K. Jemisin continua a ricordarci che chi scrive deve liberarsi dall’idea capitalista della produttività, mi rendo conto che molto spesso penso e spero che quella nuova storia sia la cosa che in qualche strano modo mi salverà la vita, almeno da un lavoro che odio. questo cozza con la consapevolezza di non essere Virginia Woolf e delle difficoltà di vivere di scrittura ma, ehi, chi sono io per negare la contraddittorietà dell’essere umano?

pian piano però forse sto trovando un certo ritmo ed equilibrio, e la creatività è riesplosa. e ieri, per la prima volta da davvero molto tempo, sono andato nell’altro posto.

sicuramente ci sono nomi più accattivanti, però so che ci vanno un sacco di persone che fanno arte, che scrivono.

è quel luogo in cui ti ritrovi quando perdi i confini con chi sei, con le cose che ti circondano e le parole ti dicono cosa vogliono, cosa si aspettano da te. è un luogo dove non puoi fare tutto, ma dove puoi essere tutto. è un bel posto, quando non ti piace molto ciò che sei nel mondo reale.

 

ricordo che la prima volta che ci sono finitә fu quando scrissi il mio primo racconto lungo. un momento era l’ora di pranzo, il momento dopo fuori era buio, la mia coinquilina urlava per entrare nella camera che condividevamo e io avevo accanto ennemila pagine piuttosto deliranti.

fino a qualche anno fa ci entravo con facilità, a volte anche cantando e ballando in camera, o mettendo le cuffie e camminando per strada. la musica mi ha sempre facilitato il viaggio.

ricordo di quando vivevo nel mio bosco con un ex, e le passeggiate diventavano viaggi terribili. quei due anni e rotti sono stati tremendi, ma all’epoca non ne ero consapevole. le cose che creavo cercavano in tutti i modi di farmelo notare, così come gli incubi. e la quantità di alcool che ingurgitavo. lui poi era infastidito dall’altro posto, e da come tornavo. perché anche se è costoso energeticamente, ci stavo bene. e quando stai bene da qualche parte e poi sei obbligatә a tornare alla realtà, non sempre sei felice. diventano distante, triste, a volte rabbioso, a volte arreso. ogni volta che tornavo dall’altro posto ci ritrovavamo a litigare.

ho finito per smettere di scrivere, bevendo ancora di più. quando la relazione è finita ho scritto il mio primo (e ad ora unico) romanzo, ma è stato una cosa altra. è venuto dalla testa e dalle frustrazioni degli anni precedenti e dalla convivenza forzata dopo la rottura. è stata una scrittura di fuga, ma non mi ha portato in nessun luogo.

ed è stato così per l’anno seguente: un sacco di scrittura, un sacco di alcool, troppa testa. testa e altro posto sono antitetici, perché l’altro posto è opposto al razionale, pur avendo un sacco di sue regole e leggi.

 

quando ho smesso di bere, è rimasta solo la razionalità. ho pensato sempre più spesso alle cose giuste da scrivere, quelle politicamente giuste, quelle che rappresentano le voci che non hanno voce e le cose in cui credo. ma anche questo è stato molto cerebrale. non credo siano venute cose brutte, ma sono state esageratamente faticose. sono state scritte per compiacere, non per star bene.

 

ritrovarmi ieri nell’altro posto è stato straniante, ma bello. è come quando fai sesso dopo un sacco di tempo con qualcuno di cui ti fidi, e ti spaventa quel senso di abbandono e perdita di controllo. devi decidere se lasciarti andare, o mantenere le redini. la soluzione sicura è spesso la peggiore.

ero in un posto dove scrivevo per me, di cose che amavo ma senza pensare al modo per far contentә tuttә. le parole si sono inseguite, i personaggi hanno fatto le loro decisioni, i luoghi sono comparsi da soli. è stato un tributo alla vita. mi ero dimenticato di quanto fosse reale l‘altro posto: sono tornato con la tachicardia, i muscoli tesi, le mascelle serrate. ho vissuto sul mio corpo tutte le emozioni delle scene che avevo scritto. ma al ritorno mi attendeva il lavoro, e sono stato male per buona parte del pomeriggio, completamente incapace di accettare di essere in un posto terribile, quando l’altro posto era lì ad attendermi.

fintanto che certe cose nella mia vita non cambieranno, ho paura che continuerà ad essere così: andare nell’altro posto sarà magnifico, ma poche ore di piacere regaleranno mezze giornate di frustrazioni e arrabbiature. o forse ad un certo punto scoprirò nuovi equilibri, e riuscirò a portare qui qualcosa dall’altro posto, e anche le cose insopportabili saranno un filo migliori.

tu ci vai mai?

Posted in la tanaTagged opere in corso, scrittura1 Comment

di psicoterapia, romanzi e stupri

Posted on 2020/04/21 - 2021/03/17 by queerwolf

cose di cui si può parlare grazie all’anonimato*.

dopo quasi due anni, oggi chiudo il mio (primo) percorso di psicoterapia. e da personcina attenta alla voce narrante del mondo, non riesco a non vedere il collegamento tra una serie di cose.
sono entrato in terapia quando ho iniziato ad accorgermi che non sentivo più nulla o quasi. le due emozioni principali erano paura e senso di soffocamento, la medicina preferita l’alcool (non avevo ancora realizzato fino in fondo quanto questo fosse un problema ma ora sono un anno, sei mesi e 12 giorni che non bevo e wow), le giornate una specie di grossa trappola.
giusto un mese e rotti prima del primo incontro avevo concluso la stesura definitiva di quello che avrei voluto fosse il mio secondo romanzo. volevo presentarlo ad un concorso, non passai la prima fase di selezione, decisi che ero un fallito e non toccai più penna per mesi.

punto centrale della storia è il superamento di uno stupro. ho cercato di immaginare un protagonista distante da me, ma per il tema principale ho preso a piene mani da una violenza che ho subito a 20anni (ad essere puntuali, quella è stata la prima ed unica esperienza di stupro che ho vissuto, ma non il primo abuso. ma dato che di tante cose non si è parlato se non negli ultimissimi anni, non ne ero consapevole). ho iniziato a scriverne senza pensare troppo alle conseguenze per me, e mi rendo conto solo ora che quell’idea è stata la goccia che ha fatto traboccare un vaso che era già abbondantemente riempito dagli eventi degli anni precedenti (tipo una relazione psicologicamente abusiva).

quel testo dopo la bocciatura al concorso se ne è rimasto chiuso nel PC per quasi due anni. fino a tre settimane fa, quando l’ho ripreso in mano per un altro potenziale concorso, e mi sono accorto che non era malaccio (spoiler: ho dovuto stravolgerlo totalmente, ma questa è un’altra storia ancora). non è facile pensare a quell’evento, a quello che ne è venuto dopo, provare a renderlo su una pagina che voglio sia viva e coinvolgente. ma ora, a distanza di due anni è qualcosa di vivo e che magari fa paura ma non terrore. la prima sensazione è nel voler far qualcosa per far sì che queste cose non accadano più (e per questo finisco per parlarne), ma non sono qui più a dirmi che è stata colpa mia, che me lo sono meritato, che l’ho cercato (che quando il messaggio che passa da fuori è questo, poi alla fine ci credi anche tu).

e mi piace un sacco questa simmetria: scrivo il libro – inizio la terapia – riprendo in mano – finisco la terapia. è una di quelle cose che un autore potrebbe mettere in silenzio in un romanzo per far capire, senza esplicitarlo direttamente, che lu suu protagonistu è prontu per viversi più pienamente.
e almeno per oggi, io mi sento così.

*che l’assenza di un nome e di una faccia non servono solo ai cyberbulli (che poi lo sono anche quando ci mettono nome e cognome), ma questa è un’altra storia.

Posted in la tanaTagged abuso sessuale, psicoterapia, scrittura, stupro

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